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Cosa resta dell’Annunciazione del Gagini a Palermo: smembrata e (in parte) restaurata

La storia della custodia del Sacramento della chiesa venne orribilmente smembrata per smania di rinnovamento. Oggi tornano a splendere alcuni preziosi pezzi

Maria Oliveri
Storica, saggista e operatrice culturale
  • 14 agosto 2022

La chiesa di Sant'Antonio Abate a Palermo

Si è miracolosamente salvata dalla distruzione - che ha sventrato i quartieri della città storica per la realizzazione della Via Roma - la chiesa di Sant’Antonio Abate, conosciuta da diverse generazioni di Palermitani come “la chiesa dell’Ecce Homo”, per via dell’edicola votiva con il Cristo Flagellato, che sorge ai piedi della scalinata di accesso dell’edificio.

Scriveva Rosario La Duca che in origine “l’Ecce Homo”, oggetto di grande devozione popolare, era ubicato nel rione Conceria; dopo il risanamento di quel quartiere (avvenuto dal 1929 al 1932), venne trasferito nei pressi della chiesa di Sant'Antonio Abate.

“A questa edicola, che in tempo passato subì il furto della cassetta delle elemosine, è legato il detto popolare: Doppu c'arrubbaru l'Ecce Homo, ci misiru a grata, che vuol significare l'assoluta mancanza di cautela in tempo utile, alla quale si pone rimedio quando il danno gia' è avvenuto”.
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La chiesa, che è una delle più antiche della città, sembra fosse già esistente nel 1220. Sorse nel punto in cui, in epoca islamica, era situata la Porta di Mare (Bab al Bahr), detta anche Porta dei Patitelli, per via della presenza di alcuni artigiani fabbricanti di zoccoli.

L’edificio ha subito nei secoli numerose modifiche e rifacimenti, è stato più volte ricostruito e restaurato, così oggi poco rimane della chiesa duecentesca.

Nel 1302, per volontà di Manfredi Chiaramonte, furono avviati i lavori di costruzione di una torre (con funzione di torre civica), da affiancare alla chiesa e i lavori furono terminati nel 1313. Nel XVI secolo la chiesa fu rinnovata acquisendo l'odierno assetto architettonico e nel 1709, venne aggiunto il presbiterio con degli stalli e due seggi, per ospitare i membri del Senato palermitano ed il parroco, insignito dal titolo di Protonotaro Apostolico.

Successivamente la chiesa subì un nuovo e profondo intervento di restauro, resosi necessario a seguito dei gravi danni subiti nel sisma del 1823.

Tale intervento, ad opera dell'architetto Nicolò Raineri, conferì all'edificio l'attuale fisionomia neogotica (esempio emblematico di eclettismo ottocentesco).

Raineri tentò probabilmente di recuperare i fasti dell’aspetto medievale originario della chiesa del Duecento. Risale invece al 1887 la decorazione interna, che si ispira ai rivestimenti in lambris e tessere a mosaico delle pareti della Cappella Palatina di Palermo e del Duomo di Monreale.

Per il suo ruolo di parrocchia del Senato, la chiesa fu in passato oggetto di particolare attenzione - sia da parte dell’amministrazione cittadina che del clero - e grazie alla disponibilità di ingenti risorse, fu soggetta a continui abbellimenti, a modifiche e all’incessante sostituzione di alcune opere con altre, ritenute più attuali o di maggiore pregio.

La chiesa custodisce oggi piccoli e grandi capolavori: due tele di Gaspare Serenario, “Cristo e l’adultera” e “Cristo e il Centurione” (1757); due tele di Giuseppe Salerno, detto lo zoppo di Ganci, “S. Carlo Borromeo in processione”, “Santo Antonio Abate”.

Il fonte battesimale, scolpito nel 1755 da Francesco Pennino su disegno di Ignazio Marabitti; l’altare dedicato all’Immacolata con una statua lignea, opera di Giuseppe Bagnasco; un busto ligneo dell’Ecce Homo realizzato da fra’ Umile da Petralia (XVII sec.).

Se la chiesa di Sant’Antonio Abate è riuscita a salvarsi, altrettanta fortuna non ha avuto invece la cona marmorea o custodia del Sacramento realizzata nel 1551 da Antonino Gagini (figlio dell’illustre maestro Antonello), che in origine era collocata nell’abside centrale.

Nel 1588 l’opera venne smembrata in più parti: questo è un caso emblematico di come la costante attività di rinnovamento di cui abbiamo parlato si sia spesso trasformata spesso in massicci e irrispettosi stravolgimenti. La cona gaginesca destinata a custodire l’eucaristia era collocata sull’altare maggiore, era in marmo bianco di Carrara, aveva un’altezza di circa 7 metri e una larghezza di 4 metri.

Questa complessa macchina marmorea voleva celebrare il sacramento dell’eucaristia per mezzo della raffigurazione della morte e della risurrezione del Cristo, con la presenza dei Santi Pietro e Paolo (che rappresentavano simbolicamente tutti gli apostoli) e di S.Antonio Abate, titolare della Chiesa.

Come accadeva spesso, durante la realizzazione di grandi e costose opere, anche nella chiesa di S. Antonio nacquero diversi diverbi e dissapori, tra i Gagini e la committenza: si misero in mezzo persino i fratelli di Antonino, Vincenzo e Fazio, perchè la cona non corrispondeva esattamente ai disegni preparatori, erano state realizzate alcune parti non previste (tra cui i tondi dell’Angelo Gabriele e dell’Annunziata) e dunque il compenso pattuito (di ben 160 onze) non era più ritenuto adeguato.

Solo nel 1562 si giunse alla fine delle controversie, si convenne che Antonino Gagini dovendo restituire ai rettori alla fine dei lavori 6 onze e 12 tarì, avrebbe estinto il suo debito consegnando entro due mesi un’acquasantiera del valore di 8 onze.

Nonostante siano andati perduti i disegni originari, si può immaginare facilmente la struttura della cona (che doveva essere molto simile a quella della vicina chiesa di Santa Zita, realizzata da Antonello Gagini e che riproponeva uno schema ormai consolidato, gradito ai committenti), grazie all’elenco delle varie parti dell’opera, che nel contratto tra le parti Antonino si impegnava a realizzare.

Alla base della cona c’erano le formelle - oggi perdute - che raffiguravano scene dell’Ultima Cena, della chiamata di San Pietro intento a pescare e della folgorazione di San Paolo sulla via di Damasco. Sopra queste scene, in due nicchie, erano poste le statue di San Pietro e San Paolo (collocate oggi all’esterno della chiesa).

Le due figure erano separate da un pannello centrale, (dove erano rappresentate scene della passione di Cristo) che oggi è collocato nella cappella del Sacramento.

L’intero riquadro era sovrastato da un pannello (andato perduto) della Risurrezione di Cristo e ai lati vi erano due sculture di Sant’Antonio, una in veste di eremita e l’altra in veste di abate.

Le due statue di Sant’Antonio si sono conservate e si trovano oggi all’esterno della Casa Canonica. Infine concludeva il monumento la scultura di Dio Padre benedicente (posto in cima) che è oggi si trova in chiesa, nella cappella di Sant’Antonio.

Non si sa dove erano posti due tondi, legati al tema dell’Annunciazione e raffiguranti uno l’Arcangelo Gabriele, l’altro la Vergine Maria, perché come abbiamo detto non erano previsti.

Oggi il tondo che raffigura l’arcangelo Gabriele, con un cartiglio su cui è inciso il saluto: "Ave, gratia plena" (Salve! O piena di grazia!), si trova a sinistra dell’altare maggiore. Mentre a destra vi è il tondo che rappresenta la Vergine Maria, davanti ad un leggìo, intenta nella meditazione della sacra scrittura.

Accanto a lei vi è un vaso con un serto di gigli che fiorisce (collegato al tema dell’incarnazione, ma con l’accento sulla purezza e verginità della Madonna) e una colomba, che rappresenta lo Spirito Santo.

I due tondi sono stati recentemente ripuliti e riportati all’antico splendore, per iniziativa del parroco Mons. Gaetano Tulipano e in collaborazione con l’Associazione "Guardie del Tempio di Cristo" l'accurata operazione è stata effettuata dallo studio Kéramos Arte e Restauro.

Monsignor Tulipano si propone in futuro di poter realizzare anche la ripulitura di altre parti superstiti della cona gaginesca: in particolare delle statue di San Pietro e San Paolo, poste nei pressi del portale d’ingresso e delle due statue di Sant’Antonio Abate, collocate all’esterno della casa canonica.

Il 15 agosto 2022, alle 10.30, nella Solennità dell'Assunzione della Beata Vergine Maria al cielo, i tondi dell'Annunciazione saranno mostrati ai fedeli e verranno benedetti, dopo la Celebrazione della Santa Messa.
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