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Compatto e risoluto: il Banco di Sicilia è uno dei punti notevoli della bellezza urbana di Palermo

Scampato al piccone iconoclasta della nostrana Cancel culture dell’immediato dopo guerra, questo edificio porta in sé preziosi tasselli di una storia da tutelare ed esaminare sotto la lente di ingrandimento estetica

Danilo Maniscalco
Architetto, artista e attivista, storico dell'arte
  • 21 settembre 2021

Il banco di Sicilia di Palermo

“Una vera e propria opera d'arte” la ebbe a definire Edoardo Caracciolo e malgrado spesso la critica contemporanea non si sia spesa su tale registro, il Banco di Sicilia che Salvatore Caronia Roberti progetta e realizza tra il 1931-38, è oggi, a tutto diritto, uno dei punti notevoli della bellezza urbana della via Roma in piena adesione ai principi del pareggiamento delle arti.

Compatto e risoluto, caratterizzato da un elegante bicromatismo marmoreo bianco-grigio, l'edificio bancario, il terzo per il prolifico allievo di Ernesto Basile dopo quelli realizzati a Siracusa e Taormina, risolve il lotto trapezoidale messo a disposizione dallo sventramento del piano di risanamento giarrussiano, regolarizzando l’impaginato dei quattro prospetti nel solco di un estremo rigore formale in cui, alla griglia ortogonale di paraste verticali e cornici e aggetti orizzontali fanno da contraltare gli innesti scultorei densamente significanti e preghi di simbolismo allegorico.
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È Archimede Campini a realizzare letteralmente ”sdraiata” la sensuale Allegoria della Sicilia stretta tra i tritoni che impera sull’ingresso principale; sono di Filippo Sgarlata i medaglioni bronzei a decorare il pregiato lucernario del piano terra; di Benedetto De Lisi jr. i bassorilievi dell'atrio interno e di Nino Geraci i due busti bronzei.

Mentre è Antonio Balistreri a realizzare su disegni di Alberto Bevilacqua il ciclo iconografico lungo il prospetto laterale della via Malta (quelli sulla parallela via Zara potrebbero essere stati rubati o dispersi dopo lomsbarco alleato del 1943) afferente le diverse province siciliane: ME (Messina) con tridente e tritone, CL (Caltanissetta) con pala e piccone, EN (Enna) con falce e fiaccola, RG (Ragusa) con rigogliosa cesta di frutta, SR (Siracusa) con testa di cavallo, AG (Agrigento) con la colonna Dorica, TP (Trapani) con spighe di grano e falcetto, CT (Catania) con l’Etna fumante, ROMA con fascio Littorio e aquila e ancora Genova, Venezia, Torino e Palermo lungo il prospetto su via Roma.

Di raffinata eleganza è la scritta BANCO DI SICILIA/SEDE DI PALERMO, impostata su un doppio registro orizzontale e specchiata alla base dei quattro cantonali alla quota di imposta delle finestre quadrate del piano terra; suggestiva è la sequenza di doccioni leonini presenti lungo il frontale del superiore cornicione aggettante in grigio di billiemi, realizzati ancora dalla bottega di Antonio Balistreri e identici a quelli ancor oggi presenti in una delle cappelle tante cappelle funerarie che lo stesso architetto realizza nel cimitero dei Cappuccini.

Se dal punto di vista stilistico, il progetto di Caronia Roberti volge ad un tempo di ancor oggi difficile pacificazione, dal punto di vista urbanistico esso risolve e conclude aggettivandolo, l'invaso della piazza Borsa (oggi purtroppo vilipeso dall’impropria colata di incomprensibile cemento), in un proficuo rapporto dialettico tra allievo e maestro nella vicinanza con la sede basiliana dell'ex Cassa di Risparmio oggi divenuto hotel.

Un edificio in struttura di cemento armato interamente rivestito da elementi di marmo, con un rapporto di calibrato equilibrio con la scultura, animato dal ritmo di ombre cangianti frutto di quel linguaggio monumentale che l’imperante stile Littorio seppe sfruttare a vantaggio della propria mission retorica e che lascia a Palermo, fortunatamente scampati al piccone iconoclasta della nostrana Cancel culture dell’immediato dopo guerra, preziosi tasselli di una storia da tutelare ed esaminare finalmente, sotto la lente di ingrandimento estetica anziché sotto quella del pregiudizio politico.

Caronia Roberti, progettista floreale, eclettico, littorio, razionalista e ancora organico di incontestabile talento artistico e capacità progettuale, pagò con qualche mese di galera la più o meno presunta aderenza al regime mussoliniano, esperienza sicuramente non prevista dall'architetto palermitano da cui uscì nel 1967 un piccolo racconto biografico La camerata azzurra, edito da Giovanni Volpe.

Se oggi è ancora possibile ammirare in diversi ambiti urbani la bellezza progettata da un grande protagonista dell'architettura siciliana, dobbiamo anche saperci dire che sotto il profilo della valorizzazione e della divulgazione, ci sia ancora quasi tutto da fare e non a caso in una città che ha da qualche decennio, ha volutamente rinunciato a riporre fiducia nell'architettura e negli architetti.
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