TEATRO
"Ciò che accadde all’improvviso", la realtà si trasforma in trappola sul palco a Palermo
Alla "Guilla" gli attori danno l’idea di un teatro vecchio, che sembra volere ispirarsi ai grandi classici del ‘900 riproposti comunque in modo acuto e competente
Un momento di "Ciò che accadde all’improvviso"
Non sapevo cosa aspettarmi, nel senso che Ouminicch’ è talmente sorprendente e surreale che il rischio di una delusione era molto alto. Ed infatti lo spettacolo si apre in modo quasi accademico. Gli attori, peraltro bravissimi, danno l’idea di un teatro vecchio, che sembra volere ispirarsi ai grandi classici del ‘900 riproposti comunque in modo acuto e competente. Tutto sembra scritto nella direzione di un ottimo lavoro ben interpretato e fragile allo stesso tempo. Ouminicch’, come temevo, è stato solo un colpo di fortuna. Peccato.
Ma accade all’improvviso la prima rottura di scena, la recitazione accurata e quasi sopra le righe era parte dello spettacolo e non una sua connotazione, gli attori interpretavano personaggi che interpretavano una finzione. Accade all’improvviso un susseguirsi di cambi di cornice della storia. Ad ogni passaggio una nuova chiave di lettura su quanto era appena accaduto ne riscrive il significato.
Si perché il filo conduttore della storia consta di tre personaggi che si trovano in un luogo che non esiste senza sapere chi sono, alla ricerca di una via possibile di uscita da questa trappola. Decidono che il modo per liberarsi dalla trappola è quello di interpretare dei personaggi di una storia immaginaria. Ogni volta che un nuovo personaggio si aggiunge, e sembra essere la soluzione, diventa esso stesso parte della storia e vittima del sortilegio che tiene tutti in quella trappola asfissiante e cupa.
Il Teatro alla Guilla nelle sue piccole dimensioni si presta a dare il senso di soffocamento e partecipazione alla scena, la platea è attorno alla scena stessa e gli spettatori sono fisicamente dentro lo spettacolo.
Il tema io credo sia identico a quello di Uominicch’, ovvero la dimensione della realtà come trappola impossibile da comprendere e decifrare. Lasciato lo spettacolo hai come la sensazione che quegli attori potrebbero continuare ad inseguirsi in quella storia all’infinito, allargando all’infinito la rete di persone coinvolte in un lettura del reale che cambia continuamente senza lasciare mai punti fermi. Quasi fino a spingerci ad immaginare che noi stessi spettatori qualora volessimo provare ad intervenire ci troveremmo a nostra volta imprigionati senza nome in quella realtà separata.
Sinceramente trovo la scrittura di Palazzolo estremamente acuta e raffinata, credo sia uno dei tanti preziosi talenti che la nostra Palermo “devorat”, ho appreso con piacere, - prima dello spettacolo abbiamo parlato brevemente – che una sua trilogia andrà in scena al Biondo nella prossima stagione, sono convinto che sarà un altro spettacolo straordinario.
Ho un solo vero rammarico, di non avere portato mia figlia, ama le storie e credo sarebbe uscita entusiasta e divertita. Sicuramente avremmo parlato per giorni dei vari inaspettati colpi di scena dello spettacolo, dei personaggi, ed anche degli attori che in scena sono stati veramente bravissimi a reggere la complessità del cambio di realtà continuo cui i loro personaggi erano soggetti.
Non ho raccontato la trama nel dettaglio perché capiterà, lo spero, che lo spettacolo torni in scena e vi consiglio caldamente di non perderlo. Come per il Teatro Atlante, onore e merito al Teatro alla Guilla. Anche solo per il fatto di esistere. Palermo è una città straordinaria, con un potenziale immenso, che ha solo bisogno di essere liberato.
Quando si pensa a Palermo città d’arte e città internazionale e si investono milioni di euro per comprare questo o quel programma artistico preconfezionato (mi riferisco alle varie Manifesta di turno che drenano risorse a discapito di una vera progettualità) da questo o quel curatore strapagato, bisognerebbe ricordarsi che l’identità culturale di una città è in quello che produce e non in quello che compra.
Saremo la città internazionale che meritiamo di essere, smettendo gli abiti provinciali che oggi nonostante i tanti proclami indossiamo, quando le voci qualificate come quella di Rosario Palazzolo (e vale il discorso ovviamente per molti altri) saranno la trama della narrazione che la città vorrà fare di se stessa. Nel frattempo grazie di cuore ai piccoli teatri, ai piccoli produttori di arte e cultura perché senza di loro non potremmo esistere come comunità.
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