FOOD & WINE
C'è un posto a Palermo in cui il tempo si è fermato: le cucine dell'antico monastero
All'ex monastero di Santa Caterina ad accogliere chi arriva da fuori c'è un odore di dolci e cannella che squarcia l'austerità e apre le porte del paradiso dei golosi
La minna di vergine
Antiche maioliche ricoprono il pavimento, alle finestre i vetri non rifiniti, c'è un vecchio chiostro con una torre dell'acqua e piante, tante, soprattutto di profumatissima pomelia. Un senso di rigore monacale pervade l'ex monastero di Santa Caterina dove anche se non ci sono monache di clausura dal 2014.
C'è però una caratteristica su tutte che da qualche tempo lo rende un posto alla mano e accorcia le distanze che a prima acchitto il luogo suscita.
All'ex monastero di Santa Caterina ad accogliere chi arriva da fuori c'è un odore di dolci e cannella che squarcia il velo di austerità e apre le porte del paradiso ai golosi.
Al primo piano della struttura di piazza Bellini le ricette di tutti i monasteri di Palermo rivivono una seconda vita grazie al lavoro certosino di una scrittrice prima e di una cooperativa dopo. Maria Oliveri ha raccolto meticolosamente tutte le ricette che le monache di tutti i monasteri di Palermo si tramandavano oralmente intervistando le ultime donne in vita, le ricette sono custodite nel libro "I segreti del chiostro".
Lo chef ha sistemato le ricette diminuendo di più della metà delle dosi dello zucchero previsto nelle ricette. In passato infatti lo zucchero era utilizzato in grosse quantità per permettere la conservazione dei dolci, data l'assenza di altri metodi, ma adesso le ricette risultavano eccessivamente zuccherate, così è stato diminuito di molto.
Da circa due anni le porte del monastero di Santa Caterina (con ingresso da piazza Pretoria e da piazza Bellini) sono riaperte e accolgono turisti e cittadini: si può visitare il tetto con una veduta mozzafiato su Palermo, le sue cupole e tutte le montagne che avvolgono la città.
È anche possibile visitare il museo con tutto quello che è stato trovato dentro il monastero: a partire dagli arnesi usati dalle monache (non più utilizzabili perché vietati dalle normative vigenti) come le canne di fiume dove si avvolgeva la pasta delle scorze dei cannoli per friggerle. Sono poi esposti anche antichi lemmi e altri strumenti da cucina, gli arazzi, ostensori e statue sacre.
Ma la parte sicuramente più prelibata e succulenta è quella della pasticceria sita al primo della struttura costruita nel Seicento (aperta tutti i giorni), dove dentro una sala ampia si trovano (e si acquistano) freschissimi e profumatissimi dolci come cannoli, minne di vergine, dolcetti alle mandorle, teste di turco, torte Maria Stuarda, le fedde del cancelliere, il cous cous dolce, cassate e martorana.
Un vero e proprio impero dei sensi ricco di mandorle, zuccata, uova, latte, noci e frutta candita, e ancora vino Marsala e frutta sultanina, cioccolato fondente, anguria, gelsomino, maizena, ricotta, pistacchi, fichi e marmellata di arance.
Le comunità monastiche femminili erano organizzate con un vero e proprio assetto aziendale, erano 21 i laboratori di dolci conventuali a Palermo e ognuno era specializzato in una ricetta segreta di un dolce in particolare.
All’interno dei monasteri si svilupparono veri e propri opifici, si sviluppò la produzione tessile e la vendita di generi alimentari, frutto del raccolto delle terre amministrate o di prodotti di trasformazione dei laboratori monastici.
A Santa Caterina le monache vivevano in mezzo a tantissime pomelie e così le donne realizzavano anche i bouquet da sposa tutti di pomelia. Preghiere e petali di pomelia venivano lanciati dalle finestre del convento per il Festino della santuzza e per l'immacolata. Anche questa tradizione è stata riportata in auge dalla cooperativa che gestisce la struttura.
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