LE STORIE DI IERI
Tommaso Chacon, l'annaffiatore del Cassaro
A metà del Settecento, quando i pochi senatori del Palazzo Pretorio provvedevano egregiamente a migliorare la vita dei palermitani, ci fu un nobile amministratore che per la sua attività a favore della pubblica igiene e della sicurezza notturna nelle strade non ricevette adeguato merito. Ci riferiamo al tuttavia benemerito Duca di Sorrentino, don Tommaso Chacon, che i concittadini meno colti conobbero meglio come “Giacona”. Il primo degli interventi di Chacon, sicuramente notevole, riguarda il fatto che proprio a metà del secolo dei lumi – nell’aprile del 1745 – fu lui a cominciare a fugare le tenebre notturne dalle vie più centrali. Con un progetto subito esecutivo d’illuminazione pubblica tramite fanali ad olio “dalla foggia d’Oltralpe” e sospesi a robuste funi tese tra un palazzo e l’altro.
Un’iniziativa che si estese rapidamente al resto della città, anche perché una decina di nobili, obbligandosi a fornire l’olio necessario, ottennero dalla relativa Deputazione senatoria parecchi di quei fanali che appesero davanti e intorno ai loro palazzi. Ed uno di tali aristocratici fu Francesco Emanuele, marchese di Villabianca, che sul vetro del fanale posto davanti alla casa di Piedigrotta fece apporre addirittura un piastrino con le armi della sua nobile casata. Ma fu proprio la foggia parigina degli stessi fanali scelti personalmente quarant’anni prima che finì per riservare a Chacon postuma ingratitudine. Successe quando nel 1785 dodici lumi, tali e quali quelli del 1745, s’accesero nel Cassaro per volere del Vicerè Caracciolo ma non furono per niente apprezzati – pare proprio “per la foggia parigina” – da parrucconi locali anti illuministi nel senso più lato. Ciò che ne causò l’immediata rimozione e il trasferimento nei bui viali della Villa Giulia di quel tempo. Episodio riferito dal reazionario Villabianca che giunse a dir male dei fanali che piacquero a Chacon – scrisse nei Diari “evidente che non sempre le cose di Francia sono da copiare” – pur di criticare quel Viceré. Che era invece abituato ai modi parigini e che tre anni prima gli aveva smantellato la sua amata Inquisizione.
Sappiamo pure che ci vollero quasi trent’anni perché qualcun altro, per di più con una non eccezionale levata d’ingegno, sostituisse la moscia manica di pelle con un apparecchio assai più pratico che non suscitasse l’ironia sempre pungente dei palermitani. La soluzione del problema ce la ricordò l’inarrivabile Nino Basile: Più tardi, nel 1778, lo strumento di pelle che aveva reso ridicolo il carro botte del Duca di Sorrentino venne sostituito con un tubo di legno, lungo e largo, provvisto di un buon numero di cannellette.
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