LE STORIE DI IERI

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“Pitittu”che fucilava i bambini

  • 18 luglio 2005

Dalle macerie della città mutilata, il 19 ottobre del 1944, stanati oltre che dalla fame anche da un violento temporale, erano usciti più presto del solito i figli degli ultimi della terra. I ragazzi che a Palermo sopravvivevano svuotando le case degli sfollati e saccheggiando i depositi che erano appartenuti all’Amgot degli Allleati. Ma che solo da poco erano stati ceduti all’alto Commissariato per la Sicilia presieduto da Salvatore Aldisio. Che a Palazzo Comitini, tra i Quattro Canti e la Stazione Centrale, per quella folla di affamati contava più del prefetto che l’ospitava. Perché era proprio Aldisio che, virtualmente, aveva il potere di contrastare il fiorente mercato dei “borsari neri” che in cambio d’un litro d’olio pretendevano lo stipendio di un impiegato comunale. Ciò che quel giorno spiegava, tra quei disperati, anche la presenza di giovani disoccupati e squattrinati della piccola borghesia. Ed era così finita che dopo essersi dati convegno a Piazza Giulio Cesare tutti si erano mossi in corteo verso la prefettura. Tacciando d’infamia gli affamatori e chiedendo pane e lavoro, preceduti da uno dei più arrabbiati che su una pertica teneva alto un paio di corna di bue. Ma quel giorno altri ragazzi, non meno lividi in volto, erano stati allertati quando era ancora buio. Erano i 47 militari della Divisione “ Sabauda” che, in assetto di guerra, intorno alle undici vennero giù da corso Calatafimi su due camion che piombarono sulla folla ormai incontrollabile.

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Non attesero nemmeno i regolamentari squilli di tromba che di solito disperdevano simili adunanze. Spianarono i moschetti “91” e fecero fuoco. Poi, quando ebbero esaurito in rapida successione i sei colpi del caricatore, obbedirono all’ordine di strappare le sicure alle bombe a mano. E fu strage. Il comandante di quei soldati italiani venne infine processato con l’accusa di omicidio colposo, subito derubricata in eccesso colposo di legittima difesa. Un “eccesso” che fece ventiquattro morti e almeno 150 feriti tra i “rivoltosi”. Il più giovane dei quali, Michele Damiano, non aveva nemmeno dodici anni quando il suo corpo finì in una fossa di Santo Spirito. Ma fu carneficina che, se non fu mai pienamente chiarita nelle sue reali cause, ebbe un testimone inquietante in un vecchietto rinsecchito e curvo, dalla testa calva e dal volto scarnito che giustificava in pieno il nome di Pitittu. Emblematico della fame del tempo e con il quale la gente del rione Perez lo salutò, per qualche anno dopo quell’ottobre atroce, ogni giorno. Mentre egli immancabilmente aspettava la fine delle lezioni davanti al plesso scolastico intitolato a un buon sindaco della Città. E con lui c’era sempre una torma di cani dai fianchi incavati e le costole che si potevano contare. Costituita sicuramente da una parte degli animali che quella brutta mattina del ’44 lo avevano seguito fino alla Prefettura.

Presenza inquietante quella di Pititittu, soprattutto per il gioco che s’era inventato con gli scolari delle elementari “Perez”. Che allo scopo tenevano sempre in serbo per lui un poco del pane della refezione. Pane scuro che lo strambo animalista distribuiva ai cani senza mai mangiarne. Mentre gradiva molto qualche lira per un’eventuale profumata “Lucky Strike”.Quanto al suo “gioco”, nel rione lo ricordano ancora. I bambini col grembiule nero e il fiocco verde si schieravano lungo un muro. Poi facevano un segno al vecchietto che era sempre vestito di panni militari grigioverdi sotto una corta mantellina dello stesso colore. Allora Pitittu imbracciava il bastone come un moschetto e a lungo faceva “ta ta ta ta” con la bocca sdentata. Nel gioco rientrava il patto – pena certe temibili arrabbiature del vecchietto – che gli scolari dovessero restare distesi per terra almeno per un poco, fingendosi morti. Finché egli non avesse richiamato i cani per risalire via Vincenzo Errante. Alla volta della strada dei Vespri, verso una remota e sconosciuta abitazione dove i suoi “fucilati” non ebbero mai il coraggio di accompagnarlo.

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