Fu un grandioso progetto quello che per qualche giorno, e malgrado il contesto, fece sognare molti palermitani: la teleferica per Monte Pellegrino
Nella città dalle eterne contraddizioni, dove nel maggio del 1957 si cominciavano ad immatricolare a centinaia le “Seicento” del boom, il contestuale disagio sociale lo rivelavano i giornali che ripetutamente scrissero di Santi e di Ecce Homo rapinati dovunque in città. Privati da ignoti ladruncoli degli ex voto e dello scarso contenuto delle cassette per le elemosine. Ma a quel tempo non mancava chi pensasse a grandi realizzazioni che avrebbero stupito i palermitani e forse anche il resto dei nostri provinciali. Perché intorno a metà del mese, l’assessore regionale ai Lavori Publici, on. Rosario Lanza, comunicò alla stampa che tra i progetti che in un tempo relativamente breve sarebbero andati in porto, a parte l’aeroporto di Punta Raisi, uno riguardava il miglior omaggio che si potesse fare alla città straziata dai bombardamenti del I943. Cioè una fiorita Villa a Mare, come la stiamo ancora aspettando, che era giusto che nascesse sui dieci ettari strappati alle onde, davanti all’aristocratica “palazzata” della marina, con le macerie di tutti i palazzi, ma anche dei catoi, distrutti dai liberators alleati. Le fortezze volanti che solo il 9 maggio del 43 fecero piovere sulla città quattromila tra bombe dirompenti e incendiarie. “A strafottere”, secondo una nostra colorita espressione.
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Ma fu un altro grandioso progetto quello che per qualche giorno, e malgrado il contesto, fece sognare molti di noi. Cioè la teleferica che partendo da Piazza Leoni, e dopo aver fatto scalo ad un aerea stazione intermedia a fianco del Castello Utveggio, sarebbe stata capace di portare duecentocinquanta persone all’ora fin davanti alla grotta della Santuzza. I giornali si diffusero sui particolari dello straordinario impianto invitando perfino i palermitani ad assistere alla posa della prima pietra, per il 16 del mese. Una gran cerimonia cui avrebbero presenziato il presidente della Regione e ovviamente il cardinale Ruffini. Il quotidiano “L’Ora” fece perfino sapere che il cavo di trazione della capiente navicella era composto di ben 124 fili di robustissimo acciaio. Dal niente che oggi ne resta è facile dedurre che fu anch’essa impresa andata buca. Per ragioni sicuramente importanti che non conosciamo. Certo è che i palermitani più “sparrittieri”dissero che i finanziatori dell’impresa, a indagini di mercato completate, finirono per convincersi che non potevano nemmeno sognarseli i 250 fedeli che a ogni ora del giorno avrebbero comprato un necessariamente costoso biglietto di funivia. In proposito li avrà forse influenzati il contemporaneo arresto, in un vicoletto del centro storico, di un falsario dei poverelli che le monetine da dieci lire se le coniava in casa. Tutto questo mentre il Palermo di Vernazza e Gomez restava in fondo alla classifica di A. Fino all’ultimo match, perso il mese successivo contro la Lazio per un mortificante 6 a 2.