LE STORIE DI IERI

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La Madonna e la pietra del giocatore

  • 4 aprile 2005

Il volto della Beata Vergine sfregiato da un giocatore d’azzardo, gran bestemmiatore e per di più uxoricida, fu venerato a lungo nella chiesa di Sant’Agatuzza che un tempo sorgeva dalle parti di Ballarò a Palermo. Ma la leggenda del quadro che si coprì di sangue per una coltellata inferta proprio dal blasfemo perdigiorno, rimase inevitabilmente legata ad altri straordinari eventi successivi all’esecuzione del reo avvenuta nel remoto 1482. “Accadimenti” dei quali riferì dettagliatamente il licatese Antonio Linares che fu patriota antiborbonico e, a Palermo, direttore del giornale “Il Vapore”. Secondo questo scrittore, per il quale furono linguaggio dei secoli le nostre tradizioni popolari, prima del sacrilego attentato, il quadro della Madonna che “porgeva le mammelle al divino Bambino” era rimasto a lungo dentro una cappelluccia accanto alla Chiesa di Sant’Agata alla Guilla, nel quartiere Capo. Davanti alla quale passava e ripassava quel temibile giocatore. La mattina per raccomandare ai celesti poteri l’esito dei suoi giochi da taverna e la sera per coprire d’ingiurie la mancata Protettrice.

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Linares riferì che quando costui colpì la venerata effigie, dopo avere accoltellato anche la moglie, un violento getto rosso fuoriuscì dal quadro insieme ad un raggio di luce “a saettare l’infame che stramazzò a terra, dove quasi morto fu tratto, con in mano il coltello e coll’altra stringendo forte una crocetta d’oro, quella stessa che aveva strappata al suo pargoletto”. Roba che al Sant’Ufffizio fu più che sufficiente per consegnarlo immediatamente al boia. Mentre la scena scelta per il supplizio fu naturalmente la piazzola in cui il giocatore aveva commesso l’ultima follia. Posto tuttavia inadatto ad accogliere insieme il gran palco delle esecuzioni e la marea di popolo che aspettava di vedere il reo penzolare dalla forca. Fu perciò che con minore spettacolo ma con esiti del tutto efficaci l’assassino fu impiccato ad una pietra che per oltre tre palmi sporgeva dal muro accanto alla cappella. Di ciò che avvenne dopo riferirono anche autorevoli diaristi oltre al grande Antonino Mongitore e al Villabianca.

Ma ora riteniamo sia giusto dare la parola al più recente Linares: “Per togliere poi ogni memoria di lui fu distrutta la pietra in mezzo ai gridi della folla; ma il domani con generale sorpresa comparve la pietra fuori del muro. Si tornò ad abbatterla la seconda, la terza volta, epperò ogni volta riproducevasi la pietra fatale; sì che scorsero gli anni e ancora veggiamo in quel muro la pietra del giocatore, esempio di orrore e di maledizione. Ora l’uomo divoto l’addita come l’albero di Giuda, e da ivi passando recita un’ave e passa frettoloso, come cacciato da un’ombra minaccevole”. Purtroppo non conosciamo il nome del giocatore – che una lapide seicentesca murata nella Chiesa di Sant’Agata alla Guilla (di cui alla foto) indicò solo come un temerarius lusor cum pugione - né sappiamo, ovviamente, quante altre volte si poté testimoniare dell’inquietante fenomeno. Certo si trattò di qualcosa di assolutamente irripetibile per molta parte del secolo scorso. Dopo che “la pietra dell’impiccato” e il muro dal quale essa continuò tanto ostinatamente a venir fuori furono polverizzati, con oltre metà del quartiere Capo, dai meno che mai chirurgici bombardamenti di settecento “liberators” americani, in una fosca domenica del 1943.

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