TUTTI NORMALI, TUTTI DIVERSI
Il mio Pride
Una testimonianza senza fronzoli, emotiva e appassionata, di cosa significa il Pride oggi, a Palermo, per una mamma arcobaleno che marcia con i figli e la compagna
In vista della tradizionale parata del Palermo Pride mi sono chiesta spesso, lo ammetto senza reticenze, perché sia così doveroso insistere anche sull’etimologia del nome: "pride", orgoglio.
E non è stato facile liberarmi dei miei stessi pregiudizi, di sovrastrutture mentali cementificate da troppo tempo dentro di me.
Posso dire di esserci riuscita? Beh, onestamente non saprei. Posso solo dire che oggi non sono la ragazza con poche e confuse idee di quindici o venti anni fa. Sono riuscita a lasciar andare un numero considerevole di pesi che rallentavano, per l’appunto, la marcia orgogliosa verso l’affermazione di sacrosanti diritti.
Su un punto voglio e devo essere chiara, e faccio mio un vecchio slogan: da vicino nessuno è normale. Intendo dire che al mondo siamo tutti diversi e nelle diversità manteniamo questo assunto.
Da mesi è vivo il dibattito attorno ai preparativi dei pride di ogni città italiana. Chi lo vuole cotto, chi crudo. Chi difende i colori, le piume di struzzo e chi, invece, lo vuole serio e casto.
Era solo l’altro ieri quando pure io pensavo che piume di struzzo, trucco oversize, nudità e altro ancora rappresentassero inutili ostentazioni. Sì, anche io.
Per affermare diritti che, ancora oggi, vengono calpestati o, nella migliore delle ipotesi, dimenticati, desideravo - mi dispiace ammetterlo - una marcia quasi silenziosa, certamente discreta, ordinata. Poi, sono diventata madre di Edoardo e Marina.
Lo sono diventata ricorrendo, da sola, all’inseminazione artificiale. Accompagnata in quella clinica di Siviglia da quella donna straordinaria che è mia madre, emozionata più di me dalla possibilità di diventare nonna.
La mia vita è cambiata. E non solo perché due gemelli, se sei da sola, ti stravolgono la vita. È cambiato il mio modo di sentire, vedere, nutrirmi, gioire, vivere in questo mondo.
Indosso ogni giorno una lente di ingrandimento per vedere i dettagli della vita, inforco occhiali per scorgere i contorni delle persone che frequento cercando - e facendo un lavoro costante su di me - di leggere, sentire, comprendere il senso delle vite altrui.
E allora, per ritornare alla domanda se sia necessario oggi un Pride basterebbe riflettere su cosa sia davvero la marcia per i diritti della comunità LGBT. Cosa è se non un momento in cui tutti noi ci ritroviamo nello stesso posto, fianco a fianco per bisbigliare (alcuni di noi) o gridare (altri di noi) che ci siamo, esistiamo?
Che siamo gli stessi incrociati sull’autobus il giorno prima, al panificio quando ordiniamo la pizza per i nostri figli o il pane integrale per la nostra compagna? Che siamo gli stessi che vi fanno benzina alle auto, vi visitano in ospedale, vi allenano in palestra, a scuola insegnano italiano ai vostri figli.
Siamo gli stessi che incrociate con i sacchi della spesa nel parcheggio del supermercato, nei grandi centri commerciali dediti alla scelta del televisore per il soggiorno o per il condizionatore, perché anche noi sentiamo caldo o freddo, proprio come voi.
E, vi prego, non rispondete con ipocrisia che siete solo abituati a vedere omosessuali “distinti” e “normali”. Perché non è così, non è solo così. Noi siamo con voi e in mezzo a voi. Siamo voi. Gli amici e le amiche transessuali che vedrete, per chi parteciperà domani, hanno una vita lontano dalla parata proprio come voi.
E la loro, nel quotidiano di ogni giorno, è davvero simile alla vostra e alla mia. Cosa cambia? Solo ciò che vedete esteriormente in un momento di orgoglio, appunto: orgoglio di essere ciò che si è. Cambia solo quello.
Ed è limitante fermarsi alle apparenze. L’ho già scritto: da vicino nessuno è normale. Lungo giro di parole, a tratti noioso, il mio. Me ne scuso. Ma sarà questo il senso del mio Pride di domani, anzi della mia marcia. Un quotidiano che non è poi così diverso da quello del vostro vicino di casa. Prendete il mio.
Partecipo alla marcia con i miei figli e la mia compagna, con tanti altri genitori omosessuali e con i papà e le mamme dei compagnetti di asilo di Edoardo e Marina. Poi la stessa sera una cara amica festeggerà quarant’anni e io e la mia compagna andremo lì, mentre Edoardo e Marina resteranno a casa con la babysitter. L'indomani mattina, invece, ci sveglieremo e andremo a mare.
Come tante famiglie, come voi, come i vostri vicini. E vi racconterò di più. Martedì due cari amici, Andrea e Linda, si sposeranno, in seconde nozze: le loro famiglie sono già allargate avendo figli da precedenti matrimoni.
Andrò al loro matrimonio con Edoardo e Marina. La prossima settimana poi, un altro matrimonio, pardon, un’unione civile, di Celeste e Daniela che saranno accompagnate dalla loro bambina, Vittoria. Ditemi voi cosa c’è di anormale nelle mie giornate. Forse, solo una cosa: partecipare a due matrimoni nonostante queste temperature tropicali.
Ma, a parte questo non indifferente particolare, la mia vita è talmente simile alle vostre da far paura. E lo è anche quella di un transessuale, credetemi, lo è allo stesso modo. Siamo tutti uguali. Siamo tutti diversi.
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