LE STORIE DI IERI
Cose “borbonesche” del 1862, la notte dei pugnali a Palermo
“Fatti orribili funestarono ieri sera la città di Palermo: una mano di accoltellatori sbucava da diversi punti e quasi alla stessa ora, ed in breve ben dodici vittime cadevano sotto il coltello dell’assassino. Le ferite sono tutte di arma da punta e taglio, quasi tutte al basso ventre: i feriti danno tutti gli stessi contrassegni dei feritori, i quali vestivano ad un sol modo, erano di pari statura, sicchè vi fu un momento che si potè credere essere uno solo l’assassino”. Così il “Giornale Officiale di Sicilia” del due ottobre 1862 cominciò a presentare il caso che fu subito noto come “la strage dei pugnalatori”. E della quale in verità furono vittime del tutto innocenti quattordici palermitani accoltellati, alcuni mortalmente, tra i Quattro Canti, Piazza Garraffello, Piazza Caracciolo e certe stradine prossime alla Kalsa. Opera materiale di malviventi affamati e tutti di bassa manovalanza che in verità per pugnali usarono ordinari coltelli da quattro soldi come il piccolo“scanna becchi” subito sequestrato a uno dei maldestri sicari. Comunque un caso storico inquietante che destò l’interesse di Leonardo Sciascia il quale in una lucidissima ricostruzione evidenziò come proprio in quel momento, nel nuovo e fragile stato unitario, si stesse già inventando la “strategia della tensione”. Per una destabilizzazione, cioè, da perseguire in vista di un sia pur velleitario tentativo di restaurazione borbonica. Come indicarono le precise caratteristiche degli attentati che – messi in atto da tre squadriglie di “terroristi” - in istruttoria e in corte d’assise presentarono sorprendenti modalità e caratteri comuni agli episodi certo più orrendi ma egualmente oscuri che funestarono i nostri anni della democrazia abusata e tradita. E anche in questo caso fu determinante il ruolo di un ambiguo collaboratore di giustizia “ante litteram”. Il trentottenne Angelo D’Angelo, ex facchino di dogana e ciabattino o lustrascarpe, che fu subito inseguito e catturato con in tasca un coltello insanguinato. Personaggio strano, ex collaboratore della polizia borbonica, che alcuni parenti definirono folle. Eppure furono essenzialmente le sue dichiarazioni a incastrare gli altri “amici” indicati con nome e cognome nella sua molteplice chiamata di correo. Furono infatti sue le accuse che valsero la ghigliottina a Pasquale Masotto, Gaetano Castelli e Giuseppe Calì, ritenuti i capi delle squadriglie di pugnalatori in azione quella notte.
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