LE STORIE DI IERI
Cavernicoli e tosse canina alle Falde di Monte Pellegrino
Alle falde di Monte Pellegrino, a metà esatta del secolo scorso, l’aria densa di resina nella pineta sull’acciottolato che porta ancora al Santuario era considerata rimedio impareggiabile per far passare la tosse canina ai ragazzini palermitani. S’intende, a quelli della piccola e media borghesia le cui famiglie non possedevano l’auto ma avevano di che pagare i biglietti di un ormai mitico filobus. Il numero 13 che dalla Stazione Centrale portava, secondo qualcuno dei più piccoli, ad una non meglio precisata Piazza "Gencascino", come essi leggevano sulle targhe del bus l’appellativo d’un eroico generale di Piazza Armerina. Il Cascino che dei suoi battaglioni fece grigioverdi valanghe che risalivano i monti. Ma per tornare ai piccoli che tossivano fin quasi a soffocare, poteva pure capitare che spesso la corrente elettrica s’interrompesse tra via dei Cantieri, Piazza Leoni e quelle prime propaggini del Monte. Ciò che imponeva lunghe passeggiate verso l’ex campo di Marte sul quale s’impiantò poi la fiera campionaria. Camminate la cui pena poteva anche venire accompagnata da esperienze indimenticabili. Quali erano gli incontri con i locali coetanei per così dire "abbronzati", oltre che dal sole, anche dal velo di opaco che sui volti gli stendeva lo sporco mai rimosso da un bagno. Né caldo né tanto meno freddo, perché quei bambini con i quali anche chi scrive ebbe modo di parlare più volte, uscivano da abitazioni impossibili con la speranza di ottenere un boccone di pane e mortadella dai malatini in gita terapeutica. Uscivano infatti da autentiche caverne più o meno grandi – erano tante quelle scavate nel tufo delle cave circostanti ricche ugualmente d’agrumeti e sterpi - dove vivevano o sopravvivevano nuclei familiari anche numerosi. E ai quali nessuno era riuscito a destinare un basso o un catoio, magari a Fondo Mendola o in via Monfenera, da quando tra i Cantieri massacrati dalle bombe e le Falde le case s’erano sbriciolate sotto le dirompenti dei "Liberators". E fino all’ottobre del 1951 – quando "L’Ora" pubblicò in merito un’intera pagina - il resto della città non seppe o finse di non sapere niente dei cavernicoli del Cortile Randazzo, uno spiazzo sterrato cui si scendeva lungo un ripido sentiero e sul quale, a nord dei Cantieri, s’aprivano più di quattro varchi irregolari. Il cui contorno poteva anche mutare quando i temporali ne disgregavano il tufo che dalle volte delle grotte si sfarinava pure su giacigli assurdi.
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