LIBRI
Auguri don Gesualdo: la Sicilia festeggia i 100 anni di Bufalino, voce unica del '900
Dalla pubblicazione di una favola, al ritrovamento della tesi di laurea, rispolverando il docufilm di Franco Battiato. Così Bufalino rimane "vivo" tra i più grandi scrittori
Il vuoto lasciato dal “professore di Comiso” nel cuore di chi lo ha conosciuto - godendo in prima persona di un acume mentale unico e raffinatissimo - o semplicemente di ogni lettore che nelle sue pagine ha trovato rifugio, è grande e su questa scia, già da inizio 2020, nella cittadina natale, si sono susseguite una serie di iniziative in sua memoria che, quando possibile, hanno coinvolto in primis anche le scuole.
E come non coinvolgerle se solo si ricorda una sua proverbiale citazione che in questa terra ha una eco particolare: “La mafia sarà vinta da un esercito di maestri elementari”.
Gli incontri per il centenario dalla nascita di uno degli scrittori di punta d’Isola, che è stato anche poeta e aforista italiano, si concluderanno con una due giorni, promossa e organizzata dalla Fondazione Bufalino (con il sostegno dell’Assemblea Regionale Siciliana, del Comune di Comiso, della Bapr e del Lions Club Comiso Terra Iblea) di attività diffuse in streaming, a causa della pandemia, sulla pagina Facebook della Fondazione.
La Sicilia è tra le regioni più ricche di scrittori e autori che hanno anche ricevuto importantissimi riconoscimenti (fra tutti il Nobel a Pirandello ad esempio) ma Bufalino si colloca quasi in un Olimpo a parte, sia per la sua storia personale, che lo ha condotto tardi a farsi conoscere come scrittore, sia per la sua produzione.
Penna raffinatissima, a dir poco aulica, dalla “parola turgida”, come è stata definita la sua nel vasto panorama della lingua italiana, al limite della “nevrastenia stilistica”, era soprattutto il suo pensiero - che poi prendeva forma negli scritti - ad essere fuori dal comune e oggi ancora attualissimo, attento alla vita nelle sue diverse declinazioni, osservata con una lente speciale.
“Uno scrittore trova le sue ragioni all’interno della propria coscienza, all’interno della società in cui vive - scrisse - Si può essere scrittori testimoni del mondo e si può essere scrittori testimoni di se stessi. Io appartengo a questa seconda categoria (…)”.
E infatti il suo esordio, sorprendentemente tardivo (aveva superato i sessant’anni), avvenne con “Diceria dell’untore”, racconto della personale esperienza vissuta in un sanatorio della Conca d’oro a metà degli anni ’40.
Ma è doveroso fare un passo indietro per comprendere fino in fondo le radici di una vena letteraria così particolare.
Nato nel 1920, le origini familiari molto umili - il padre era un fabbro con un’autentica passione per la lettura - non gli impedirono di studiare ma soprattutto di divorare letteralmente i volumi della biblioteca del padre e qualunque cosa trovasse lungo il suo cammino.
La spensieratezza degli anni della giovinezza, trascorsi nella bottega di un pittore di carretti, e della frequentazione dell’Università di Catania, presto interrotta a causa della guerra, furono spazzati via dalla chiamata alle armi, nel 1942, a cui seguì la cattura da parte dei tedeschi, la fuga nelle campagne friulane e il riparo in Emilia.
Ma al destino, si sa, è difficile sfuggire e, seppur con vie talora imperscrutabili, conduce dove ognuno deve arrivare.
A causa della tisi venne ricoverato nel sanatorio di Scandiano, nella provincia di Reggio Emilia, qui, grazie al primario Biancheri, raffinato umanista che nello scantinato dell’ospedale custodiva una ricca biblioteca, lesse per la prima volta Proust in francese e tantissimi altri volumi che, oltre a fargli compagnia, ampliarono le sue conoscenze letterarie.
Terminò la sua convalescenza in un altro sanatorio, nella Conca d’oro; conseguì la laurea nel 1947 e cominciò la fase dell’insegnamento, nel liceo magistrale di Vittoria.
Tornando al suo esordio letterario, che risale al 1981, dobbiamo tutti essere riconoscenti a Leonardo Sciascia ma, soprattutto, alla produttiva caparbietà di Elvira Sellerio che, intuendo dalla stesura di alcune prefazioni che si fosse al cospetto di un grane scrittore, insistette perché le facesse leggere un suo scritto che, di sicuro, custodiva in qualche cassetto.
E, in effetti, la signora Elvira aveva ragione.
Fu così che “Diceria dell’untore” andò in stampa, edito da Sellerio ovviamente.
Come dichiarato dallo stesso Bufalino durante un’intervista a Sciascia, il libro fu “pensato” verso il ’50, scritto nel ’71 e poi continuamente revisionato fino all’ultimo.
“M’importava esorcizzare quell’esperienza - sottolineò - ma soprattutto mi urgeva coagulare eventi e persone intorno a un centro di parole che avevo dentro”.
Concluse l’intervista con un passaggio che riportiamo perché rende esplicito, ancor prima di leggere il romanzo in sé, il rapporto di Bufalino con la scrittura: “Confesso che il primo capitolo che scrissi, fu come un gioco serio: e consisteva nel trovare intrecci plausibili fra 50 parole scelte in anticipo per timbro, colore, carica espressiva”.
Dall’esordio letterario la grandezza di Bufalino fu palese a tutti, al di là di premi o riconoscimenti, tanto da diventare, post mortem, protagonista anche di un docufilm, “Auguri don Gesualdo”, che ripercorre la sua vita, con immagini originali e testimonianze di chi lo ha conosciuto, realizzato con la consulenza letteraria di Manlio Sgalambro e la regia di Franco Battiato, che accettò questo lavoro per “una combinazione di affetto e dovere”.
Noi che vogliamo credere che la morte non sia la fine di tutto, ma solo una trasformazione, e che le energie influenzino il corso delle cose, abbiamo visto come un “regalo” dall’alto il ritrovamento, qualche giorno fa, della tesi di laurea di Bufalino, rinvenuta nell’archivio dell’Università degli Studi di Palermo.
Il dattiloscritto di novanta pagine reca sul frontespizio il titolo "Gli studi di archeologia e la formazione del gusto neoclassico in Europa (1738 – 1829)" e l'indicazione dell'anno accademico 1945-1946.
Sfogliando quelle pagine è apparso evidente che tale ritrovamento può essere un’ulteriore occasione per la comunità scientifica di studiosi e di lettori dell'opera di Bufalino per riscoprirne l'europeismo e l’originalità, presenti anche nei suoi testi letterari.
Sempre in omaggio a questo speciale compleanno è andato in stampa (edito da Bompiani) “La favola del castello senza tempo”, unico scritto dedicato all’infanzia e curato per l'occazione da Nadia Terranova.
Nel libro (appena 64 pagine) la farfalla Atropo - dal nome di una delle tre Moire della mitologia greca - un essere della Notte, vuole far conoscere a Dino un luogo sinistro abitato dagli Immortali, anime cioè scampate al diluvio universale, ma condannate a giocare in eterno a dadi senza poter ingannare il loro carceriere, il Tempo.
Vogliamo chiudere questo nostro ricordo di Gesualdo Bufalino con un ultimo frammento di un suo scritto, “L’inchiostro del diavolo” - un elzeviro pubblicato ma stampato solo nel 1991 in edizione limitata con un'acquaforte di Mario Gosso - caro ai giornalisti, e a gli scrittori in generale, per il tema del “refuso” e al contempo dotato di una attuale visionarietà.
“L’errore - lapsus, qui pro quo, abbaglio, topica, granchio - mi nasce dentro naturalmente, non posso rinnegarlo, è figlio mio. (…) Forse veramente ogni segno che riceviamo o mandiamo è un errore di trasmissione, ogni messaggio ci viene da un computer programmato a ingannare, la lettera che il postino ci porta era per un altro, qualcuno ha scambiato le buste. Seppure non sia l’universo intero un refuso. Siamo scritti lassù temo, da una portatile guasta. E come potremmo allora aspettarci, noi sgorbi e geroglifici di così scorretta edizione, che quanto scriviamo noi stessi si salvi?”.
E allora auguri don Gesualdo: i tuoi scritti non solo si sono salvati ma continuano ad essere nutrimento per ciascun lettore.
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