TRADIZIONI
Il suo fascino "spinoso" è irresistibile: la tradizione (mitica) del carciofo in Sicilia
Gustosissimo e deliziosissimo, il rinomato carciofo gode di tanta popolarità nella tradizione culinaria del capoluogo etneo. Tuttavia non tutti ne conoscono le radici
I "cacocciuli arrustuti" a Catania (foto di Antonio Aquino)
latini del passato ne hanno davvero apprezzato la squisitezza e bontà.
Teofrasto, filosofo greco, ne decantava le preziose "virtù" e l’ottimo sapore. Dagli scritti di Plinio, invece, siamo a conoscenza che era uno degli alimenti più raffinati e prediletti della sua epoca.
Pare che il nome originario sia “Cynara scolymus”; secondo le fonti mitologiche, inoltre, esiste una famosa leggenda che vede nel carciofo l’incarnazione di una “Ninfa”. Infatti, si tramanda che la bellissima Cynara fu una creatura di incantevole e travolgente bellezza; sappiamo che sfoggiava una pelle rosata, capelli color cenere e degli splendidi occhi a metà tra il verde e il violaceo.
Costui, mal tollerando il rifiuto, sfogò la propria frustrazione trasformandola in un vegetale che ne incarnasse il carattere e le fattezze. Di colore verde e dalla rigida conformazione, le conferì una forma corpulenta e spinosa; queste componenti non
facevano altro che rispecchiare a menadito il temperamento orgoglioso e, al contempo, pacato della ninfa.
A riprova di siffatta credenza sarebbero proprio le spine, simbolo di scontrosità, e la morbidezza interna, emblema di straordinaria dolcezza. Ad ogni modo alcuni studi riportano che il cosiddetto “violetto di Sicilia”, ovvero il carciofo, arrivò in Occidente per mano dei Greci; altre testimonianze, di converso, ravvedono una chiara derivazione linguistica dall’arabo: si tratta del termine “ kharshùf”. In ogni caso, è ormai comprovato che venne coltivato nell’area sud-orientale dell’isola verso la fine dell’Ottocento.
A Catania, in particolare, è prassi comune cucinare i carciofi arrostendoli secondo una sequenza ben definita di passaggi; si comincia col tagliare il mazzo iniziale, lasciando integro solamente una parte del gambo. Successivamente si procede sbattendolo contro una superficie piana che ne faciliti l’apertura.
A seguire, dopo averli lavati a dovere, si scolano condendoli a base di aglio, prezzemolo, olio d’oliva, sale e pepe nero. Infine, una volta preparata la brace del focolare, vi si pongono i “cacocciuli” lasciandoli cuocere a fuoco lento per circa venti minuti.
Si tratta di un piatto tradizionale che imbandisce le nostre tavole da diversi secoli; bisogna sapere, per di più, che i principali centri di produzione dei carciofi “violetti catanesi “ si trovano a Ramacca e Caltagirone, ubicati in provincia di Catania. Di dimensioni piccole, presentano un compatto capolino cilindrico e brattee verdi senza spine con forti sfumature violacee.
La pianta, abbastanza robusta, resiste poco al gelo e al ribasso eccessivo delle temperature necessitando di una buona esposizione ai raggi solari. Risulta essere indispensabile anche la disposizione di un terreno fertile e scavato in profondità. La concimazione, specialmente per la quantità di letame richiesta, richiede grande cura e precisione.
Oggigiorno, la varietà catanese è la più diffusa nel territorio isolano divenendo tra gli ortaggi più prestigiosi e rinomati della Sicilia.
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