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Altro che Karate Kid, in Sicilia facciamo arti marziali "cu vastuni": chi conosce la paranza

Le sue radici sembrano risalire intorno al 1200, quando il popolo non poteva permettersi le armi. Poi negli anni '70 è stata riconosciuta come disciplina sportiva

Alessandro Panno
Appassionato di sicilianità
  • 7 marzo 2025

Jackie Chan nel nuovo sequel di The Karate Kid

Ai tempi giurassici in cui tablet e smartphone erano un’invenzione di esclusivo appannaggio dei romanzi di fantascienza Urania, noi picciriddi eravamo impegnati in mille altre attività più “fisiche” in strada, senonchè i genitori, non appena arrivava la stagione fredda, dovevano trovare altri modi per sballarsi un po’ i figli fuori dalle scatole.

C’è da dire che forse, ad oggi, i bambini tra scuola di musica, potenziamento scolastico, corso di arti creative e sport sono più impegnati di una yuppie rampante in pieni anni 80, senza avere un po’ di tempo per un po’ di sano "tampasiamento", ma anche all’epoca della mia picciriddanza arrivava il momento in cui si veniva strappati da meccano e macchinine per essere instradati verso un’attività sportiva.

Tra le più gettonate vi era lo Judo o il Karate, ottimi per entrambi i sessi, u masculu s’insignava a non portare vastunate a casa e a fimminiedda ad innalzare la propria autostima.
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Il nuoto, anche questo adatto a lui e lei ma strettamente vincolato alla presenza, nelle vicinanze di casa, di un’adeguata struttura che non volesse un rene da parte di entrambi i genitori per la retta, oltre a tutte le camurrie di doccia, asciugatura, vestizione ecc….

Il calcio, only per lui, sogno segreto del papà. Lui da piccolo è stato a tanto così dal giocare con il Palermo in serie A, convinto che il pargolo abbia preso tutto da lui e sia una futura promessa calcistica perché una volta gli ha lanciato il SuperSantos e il piccolo, scivolando, ha fatto una piroetta sfiorando la palla e facendola finire la centro della fontana del Giardino Inglese.

Così contatta la migliore scuola calcio gestita da un ex giocatore in pensione di serie A, per poi urlare all’allenatore che non capisce niente e che deve fare quello che dice lui che ci è mancato poco così che lui giocasse in serie A con il Palermo.

La danza, questa solo per lei, da effettuarsi rigorosamente in una scuola dalle presunte origini francesi il cui nome è “Le petit cygne pieux”, gestita da tale madame Mariè Rose Crucifièe, che afferma essere stata prima ballerina della scala di Parigi, salvo poi scoprire che il suo vero nome è Maria Rosaria Crocifissa ed è stata capo animatrice di tarantella sicula alla sagra della sfincia di Carini.

Me medesimo, dopo attenta valutazione dei miei procreatori che decisero che ero scoordinato, fui iscritto a un tragico corso di aerobica che si teneva in una specie di palestra sgarrubbata ospitata al piano interrato di un palazzo adiacente al fiume Oreto.

Vestito con una di quelle tute in acetato autocombustibili fui accolto da uno stuolo di ragazze con scaldamuscoli fluo alle caviglie e body aderentissimi che non lasciavano adito a dubbi anatomici di sorta.

Fossi stato più grandicello avrei anche apprezzato, ma a quell’età non avevo ancora idea attorno a cosa girava il mondo, per cui già alla seconda lezione rifiutai categoricamente di continuare.

Essendo cresciuto a pane e "Ken il guerriero", Jean Cloude Van Damme, Bruce Lee e Chuck Norris espressi il desiderio di fare arti marziali e, complice la presenza di un centro di avviamento allo sport del Coni vicino casa, iniziai a fare Judo, che fece nascere in me la passione, ancora attiva, per le arti marziali.

Così qualche anno fa, durante un corso di aggiornamento per istruttori di autodifesa a Catania, mi ritrovai a parlare con Lorenzo, esperto judoka, nonché praticante di "paranza" sicula lunga.

La paranza lunga o vastune siculo, anche se la cosa potrebbe far siddiare i puristi, può essere considerata una forma di arte marziale, poiché condivide con loro principi come onore, lealtà, controllo, rispetto dell’avversario e difesa dei più deboli.

Immaginatevi un contadino bello beato con le sue pecore e caprette, che mentre brucano la verde erba si arrisietta all’ombra di ulivo secolare masticando un aghiru e duci.

All’improvviso arriva un malaminnitta chi l’ava inquietare pa supicchiria, ma casca male, perché il contadino si mette la maschera e il mantello e si scopre che è vastunateman, esperto di paranza, e gli sgagna la prima e seconda filiera di corna.

Le radici di quest’arte sembrano risalire intorno al 1200, a quando il popolo non poteva avere armi ne poteva permettersi di comprarle, per difendere se stessi e la famiglia.

Così uno degli ausilii più tipici, ovvero il bastone, divenne una vera e propria arma di difesa e non solo, dato che fu usato anche per “discutersi” questioni personali che potevano ledere l’onore personale.

In questi casi ci si vedeva fuori dai centri abitati, lontano da sguardi indiscreti e muffiette, e accompagnati da fidati uomini i sustanza che potessero fare da testimoni davano inizio alla sfida. Lo scopo non era mai l’uccisione dell’avversario ma semplicemente la sottomissione per dimostrare che i lumi stavano dalla parte del vincitore.

Una specie di ordalia fatta da mizzica, minchia e accussì t’ insigni!

Nel tempo si svilupparono diverse scuole di paranza, ognuna con un suo stile, dando origine a nomi leggendari come Pippinu u puzzaru, Turi u sciancato, Cuccio funcidda e Cosimo (Santonocito) u spiddaru.

Pare che a contrada CalaCala, vicino Paternò, ci fossero due fantasmi che avevano l’abitudine di spaventare a morte i viandanti facendogli abbandonare i loro averi nella fuga.

I cristianeddi, totalmente inascoltati dalle autorità, e non sapendo cosa fare si rivolsero al maestro Santonocito, uomo di comprovato coraggio e integrità morale.

In una notte di luna piena Cosimo si sppostò dietro una roccia e appena vide spuntare i fantasmi cominciò a vastunare di prima e senza pietà scoprendo che alla fine i “fantasmi” altro non erano che dei ladruncoli che si travestivano e, “convincedoli” ad andarsene e non tornare mai più, venne soprannominato come u spiddaru.

U vastuni doveva misurare 5 palmi, circa 120 cm, ed era scelto accuratamente tra il legno di agghiastru, aranci amaru, piru praino, sorbo e rusedda. Una volta scelto il ramo più nodoso veniva immerso in acqua e cenere per 3 giorni, poi passato sul fuoco per raddrizzarlo ed indurirlo, ed infine lasciato ad asciugare e stagionare al chiarore di luna.

Questa procedura assicurava al legno il giusto equilibrio tra durezza ed elasticità, dando ad ognuno delle caratteristiche uniche che ogni scuola utilizzava per codificare un proprio stile di combattimento.

I movimenti base erano la tirata, la fiorata e la rotata per finire con la pianta, una serie di figure, molto simili ad un kata, che dovevano preparare al combattimento.

Nel 1282, durante i vespri, i tiratura i vastune furono cruciali nella rivolta contro gli Angioini, essendo in grado di contrastare, con la loro arte, i soldati armati di spada.

Da allora tutte le varie “autorità” che si susseguirono cominciarono a guardare con sospetto alla paranza, fin quando negli anni ‘50, dopo una focosa attività dei fronti separatisti della Sicilia come il M.I.S., il E.V.I.S. e il G.R.I.S, il governo dichiarò tale pratica illegale, relegandola alla totale clandestinità.

Ad oggi tale illegalità non è mai stata abrogata, ma agli inizi degli anni 70, tramite il Coni ed il Csen si riuscì ad inserire la paranza nell’ambito delle discipline sportive con la creazione dell’A.N.B.S. (Associazione Nazionale Bastone Siciliano) che ormai conta proseliti anche al Nord ed oltre i confini nazionali.
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