PERSONAGGI
Alessandro Ienzi, l'avvocato che ha scelto l'arte (e i diritti umani): "A Palermo i teatri latitano"
Con la sua compagnia Raizes Teatro, l'attore e regista porta sul palco la rappresentazione di storie vere. Il suo teatro è incentrato sulla persona e sulla difesa dei dritti umani
Il regista Alessandro Ienzi
Attore, regista e drammaturgo, nonché avvocato specializzato in diritti umani, Ienzi ha unito le sue passioni in un percorso teatrale che vanta ottimi riscontri all’estero, dove i suoi lavori ricevono spesso premi e riconoscimenti.
L’ultimo, “Andrea B” ha già vinto tre festival: Independent Short Award of Hollywood, Hollywood International Golden Age Festival e Vancouver film festival.
Un percorso iniziato all’università, dalla voglia di fare un’esperienza teatrale, preferendo i laboratori alle scuole e caratterizzato da incontri importanti.
«Sono stato guidato da persone competenti come Mamadou Dioume e Emma Dante, proprio lei dopo pochi mesi mi ha portato in scena anche in teatri importanti - racconta - ho girato tantissimo, il lavoro non mancava, ma avevo in mente di creare un’altra realtà»
«Con noi ci sono ragazzi sia italiani che stranieri o immigrati di seconda generazione - aggiunge Ienzi -, abbiamo avviato un laboratorio permanente e alcune collaborazioni con l’estero, parallelamente io ho continuato la mia formazione, sia giuridica che teatrale, frequentando dei corsi con le Nazioni Unite».
La parola chiave del suo percorso è progettazione. «Ho una visione programmatica ampia, da quando ho cominciato ho lavorato sempre, ogni giorno e ho sempre dedicato tempo alla formazione e all’aggiornamento.
Non sono in attesa di nessuno ma programmo a lungo termine, non per realizzare lo spettacolo in sé, ma per trovare una voce, perché so cosa voglio dire e che funzione ha.
Ogni progetto comporta un grande impegno, quindi cerco di coinvolgere le persone giuste e credo che i giovani siano determinanti nel successo, perché portano tanta freschezza, che bilancia l’inesperienza».
Laureato in giurisprudenza, un Master a Roma sulla protezione dei diritti umani e alcune esperienze alle Nazioni Unite, da alcuni anni il teatro di Ienzi è incentrato sulla difesa dei dritti umani, spesso attraverso la rappresentazione di storie vere.
«Parliamo di diritti umani perché oggi il mondo richiede soprattutto questo, le notizie di attualità sono piene di storie. Per me occuparsi di diritti umani significa mettere la persona al centro, con la sua fragilità e i suoi problemi, con l’obbligo di dovere fronteggiare l’ostilità sociale ogni qualvolta si presenta una richiesta di libertà, di libera determinazione, civile, sessuale, di qualunque altro tipo.
Una condizione che mi interessa rappresentare perché mostra il contatto della persona con sé stessa, che è fondamentale; se questo non accade ma si soddisfa una pretesa esterna, allora si vive un inferno personale, una condizione oggi molto frequente».
Di transizione parla "Andrea B", che ha già ricevuto premi e riconoscimenti importanti.
«Ho scelto di raccontare questa vicenda per un’esigenza sociale - afferma - perché il teatro deve raccontare le storie scomode, quelle che ci fanno vergognare e questa storia, oltre alla transizione racconta anche l’incontro con se stesso. Lo spettacolo deve porre una domanda al pubblico: come ci avviciniamo a noi stessi?
Come si avvicina a sé stesso il ragazzo o la ragazza trasgender che vuole fare la transizione e viene osteggiata perché la normalità è altro, o la donna che viene considerata ancora un oggetto dal marito, oppure l’attivista che vive in un paese in cui i diritti civili sono sospesi? Ma è una domanda per far riflettere, non offre una soluzione».
Con decisione e caparbietà, Ienzi è riuscito a portare i suoi spettacoli in giro per il mondo e prosegue nel suo percorso artistico.
«L’obiettivo della compagnia è la ricerca e anche avere un impatto, nel senso di crescere in relazioni e in contatto con il pubblico tanto da diventare una voce importante per una riflessione comune, una voce in mezzo a tante altre complementari e anche una voce politica oltre che artistica».
I riconoscimenti internazionali sono arrivati in breve tempo.
«I primi mi hanno sorpreso - racconta - adesso mi danno tanta gioia, ogni volta è una conferma e un’occasione di crescita, perché il lavoro artistico mira proprio a raccontare il mondo da un punto di vista nuovo. Io sentivo istintivamente che questi lavori avevano una forza; il riconoscimento, prima personale e poi esterno, in arte è un passo importante. Ma non bisogna saziarsi, perché la fame è altrove, non è nel premio ma nella ricerca».
«È la ricerca di un centro - spiega - innanzitutto della persona, dell’attore, del regista o dello scrittore, che deve “fare”, deve trovare una voce, essere un autore già da attore, perché in questo mestiere siamo in tanti e non si emerge se non si ha qualcosa da dire e un modo personale per farlo»
Il confronto con l’estero, con realtà diverse, è costante e, a 33 anni, mentre in Italia si è considerati troppo giovani per ricoprire alcuni ruoli, Ienzi diventa direttore di Human Freedom 21, un programma internazionale di promozione dei diritti umani, organizzato da Raizes con International Human Rights Art Festival, Global Campus of Human Rights e Avant Garde Lawyers, che riunisce sia artisti che specialisti dei vari ambiti di cui si occupa, dalla campagna per il clima a quella LGBT.
«“Adesso siamo in contatto con gli avvocati che tutelano gli artisti in Medioriente che sono privati della libertà d’espressione - spiega - e stiamo lavorando con loro, produciamo contenuti teatrali, multimediali, organizziamo delle conferenze e promuoviamo il lavoro di tutti questi attivisti attraverso dei contenuti artistici, con cui le persone possono interagire».
Attualmente vive a Palermo, anche a causa delle restrizioni per il covid, Ienzi afferma: «Amo tantissimo questa terra e le persone che ci vivono, qui c’è una materia creativa veramente sopraffina, mancano però le strutture per valorizzarla.
Probabilmente con degli accessi amministrativi più semplici, con una politica un po’ più avveduta, più vicina ai giovani, alle idee, anche per me sarebbe stato tutto più facile, però le difficoltà mi hanno imposto di andare a bussare altrove e trovare soluzioni diverse».
Con un po’ di delusione, aggiunge: «A Palermo i teatri latitano, non si promuovono artisti giovani che hanno una voce nuova. Dare spazio ai giovani non serve se fanno cose da vecchi e continuano a ripetere ciò che abbiamo sempre visto in scena.
Adesso Raizes è una voce importante della città, quindi perché non essere tenuti in considerazione nei cartelloni e perché anche il denaro, che è una forma di energia, non viene immesso in questo circuito?».
«Il nostro - aggiunge - è un cammino diverso. A me non interessa che un attore sappia il copione a memoria o parli in dizione, cerco dei ragazzi di Palermo, anche dei quartieri popolari o con difficoltà, perché il teatro fa questo. Il teatro è fatto per le realtà che hanno qualcosa da dire, che si mettono in gioco».
Ammette però che di recente qualcosa ha ottenuto, My name is Patrick Zaki, dedicato all’attivista egiziano, è stato prodotto dalla Fondazione Orestiadi, la Regione Siciliana ha finanziato alcune nostre iniziative sui diritti umani e il Comune di Palermo ci ha dato qualche spazio a titolo gratuito”.
Fra i progetti immediati c’è la volontà di portare in giro “My name is Patrick Zaki”, sia in Italia che all’estero e lavorare a un progetto sulle nuove dichiarazioni, «perché ad ottobre Human Freedom farà una campagna sulle migrazioni – e conclude – ma la compagnia è viva anche qui: da poco siamo stati a Palazzo Steri, al Giardino dei Giusti e il 30 agosto saremo a Tindari e il 19 settembre a Palazzo Riso».
«Questi ultimi mesi mi hanno dato grande fiducia, nel cammino della compagnia e nel mio percorso artistico personale e la consapevolezza che lavorando si arriva sempre e che il lavoro paga - conclude -. Questo è importante tenerlo a mente perché significa essere in qualche modo non padroni ma almeno attori del proprio destino».
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