STORIE
Aiuta gli italiani emigrati a ricostruire le loro storie: cosa ci fa un siciliano in Brasile
Dario Musumeci, di Acireale, è un nomade digitale da sempre affascinato del Brasile che adesso vive lì e va alla ricerca delle origini delle persone per ricostruire le loro storie
Dario Musumeci
È questo che fa Dario Musumeci con la sua “Pesquisa Italiana” (“Ricerca italiana”).
Nato ad Acireale ma cittadino del mondo, con 51 Paesi spuntati nella lista dei suoi desideri, Dario è un nomade digitale da sempre affascinato dal Brasile. Da quando, poco più che adolescente, ha conosciuto un brasiliano nel villaggio dove lavorava come animatore.
E siccome a volte è il destino a scegliere per noi, lanciando piccoli segnali qua e là da raccogliere, anche per Dario è stato così. Durante il suo ultimo anno di università a Roma, infatti, decide di trasferirsi a Dublino per qualche mese pensando di migliorare il proprio inglese.
Invece, una volta arrivato nella patria degli elfi e della Guinness, come racconta scherzando, si accorge che «la lingua ufficiale non è l’inglese ma il portoghese, tanti sono i brasiliani che abitano in Irlanda».
Ecco quindi che dopo la laurea in Economia alla Luiss non gli rimane che fare un biglietto e andare a conoscere di persona cosa lo ha sempre attratto di quel Brasile tanto amato, cercando un lavoro per rimanere quanto più possibile.
Trecento curriculum inviati e due sole risposte, ma una di quelle serve a Dario per iniziare la sua nuova avventura, non sapendo che il caso lo porterà comunque verso altre e impreviste mete.
Presto, infatti, scopre che le sue origini siciliane diventano fondamentali per i tantissimi brasiliani con un cognome italiano e un passato da rintracciare.
«Un giorno un signore mi disse “Wow, vieni dall’Italia? Per favore, potresti chiamare il comune di Roccalumera e chiedergli il certificato di nascita del mio bisnonno che era di lì?”» - racconta Dario. E così inizia la sua caccia alle storie altrui, con il sostegno della mamma in Sicilia che gli spedisce i documenti. Uno, due, tre, dieci, venti, quaranta.
«A poco a poco sempre più italo-discendenti chiedono un aiuto per scovare le proprie radici» e Dario si appassiona a quelle vite che cercano risposte e, perché no, anche un futuro migliore. D’altronde, «a fronte del milione e mezzo di persone che fra il 1870 e i primi del ‘900 sono emigrate dal nostro Paese a causa della povertà, soprattutto dal Veneto e dalla Calabria, sono 30 milioni i brasiliani che hanno radici italiane».
Si prospetta un bel da fare, quindi.
Al posto di ritrovarsi di notte a farlo come favore, decide così di farne il proprio mestiere, chiamando un genealogista e dando vita alla sua attività, che oggi conta quattordici collaboratori e moltissimi successi.
Sono 35 mila le ricerche che Dario e la sua squadra hanno effettuato finora, migliaia e migliaia di alberi genealogici ricostruiti, infiniti puntini collegati che hanno permesso, a chi lo ha chiesto, di ricomporre la propria identità e di «comprendere cose dell’oggi legate al passato».
«Ecco perché il mio bisnonno a quanto pare mangiava piccante. Ecco perché mio nonno mi raccontava queste cose, ecco perché mi diceva di vedere un vulcano dalla finestra, ecco perché…» sono alcune delle migliaia di domande risolte grazie a un lavoro certosino, quasi da detective, che svolge “Pesquisa Italiana”.
«Stai tutto il giorno a contatto con le loro esistenze, è ovvio che ti appassioni - risponde Dario quando gli chiediamo se questo lavoro nato per caso gli fa battere il cuore -. Se sei empatico come me, è normale che ti faccia coinvolgere dalla loro biografia e dalla trama che c’è dietro. La maggior parte delle volte le persone si mettono a piangere e mi ringraziano e per me è bellissimo sapere di averle aiutate in qualche modo».
Non sempre tutto è a lieto fine, capita infatti di dover dare anche notizie spiacevoli a chi immaginava una cosa e si trova davanti a tutt’altro, ma fa parte del “gioco”.
«Una volta una signora mi chiese di trovare informazioni sul padre morto in guerra e che tutta la famiglia venerava come un eroe - racconta -. Facendo la ricerca non soltanto abbiamo saputo che non era deceduto durante la prima guerra mondiale ma perfino che, una volta tornato in Italia, si era risposato e aveva avuto altri figli».
Insomma, scavare per ricostruire dà sempre risultati inaspettati, positivi o negativi che siano. Però servono. Servono per recuperare chi siamo, da dove veniamo e quale futuro vogliamo regalarci. E Dario permette a chi lo richiede proprio questo.
Un monaco buddhista diceva che "Se guardiamo profondamente nel palmo della nostra mano, vedremo tutte le generazioni dei nostri antenati e che ognuno di loro è presente nel nostro corpo perché siamo la continuazione di ciascuna di queste persone”.
Chissà se la madre che lo ha aiutato tante volte, ma che ogni tanto ancora si chiede che travagghiu fa il figlio, sarà felice di sapere che Dario dà la possibilità agli altri di leggere quelle linee.
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