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A Troina c'è uno dei più famosi monasteri basiliani della Sicilia (e lo stiamo perdendo)

L'eco di un malessere collettivo, la retorica del senso di colpa, e poi si dimentica. E intanto ciò che si perde è perduto irrimediabilmente. La storia del Monastero di Troina

  • 24 dicembre 2020

Il Monastero di San Michele Arcangelo a Troina

È il tempo che passa. I luoghi esistono, formano relazioni sociali, costituiscono paesaggio, modificano il tempo della storia. Poi succede che mutano, lentamente: prima vanno via le persone, poi scompaiono i luoghi stessi. Per un evento naturale, per una precisa scelta di convivenza impossibile, per un caso fortuito; e nessuno sembra farci caso.

Dacché esistono, i luoghi si fanno sbavati, diventano ruderi, e poi risonanze della memoria, pagine d’archivio, poche righe sui libri, e infine vere e proprie forme mitologiche di una specie di sentimento arcadico.

Anche la Sicilia ha perduto una buona parte del suo prezioso patrimonio, e sembra sia accaduto in un tempo remoto; e invece no, perché accade continuamente, anche laddove sembra che il disastro sia già avvenuto e non possa succedere più nulla (ad esempio, il crollo del campanile della Chiesa Madre a Poggioreale vecchia nel 2009).

L’Isola cambia d’aspetto e perde il suo genius loci, confondendo la realtà con la rappresentazione dell’immaginario, deferendo a ignoti ogni colpa e almanaccando su una sorte meno infausta. Un piccolo scandalo, l’eco di un malessere collettivo, la retorica del senso di colpa, e poi si dimentica ogni cosa. E intanto ciò che si perde è perduto irrimediabilmente.
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Siamo a Troina, in provincia di Enna.

Arroccata a 1120 metri di quota, a cavallo tra i due monti Muganà e san Pantheon, la cittadina domina dall'alto un vastissimo territorio da cui si possono godere splendidi panorami che abbracciano molte province. La sua origine si confonde coi tempi favolosi; alcuni credono che derivi da Imachera, antichissima città fabbricata - a sud dell’attuale centro - dai Giganti, i quali cavavano rocce e sovrapponevano grosse pietre per farvi stanze.

A Troina esiste uno dei più famosi monasteri basiliani della Sicilia, il Monastero di San Michele Arcangelo “Il Vecchio”.
Edificato sull’ameno colle di Carinei dal Conte Ruggero d’Altavilla, al suo interno erano custodite le Reliquie di S. Silvestro Monaco, patrono della città; presso tale cenobio – difatti - l’umile frate basiliano trascorse la sua vita monastica.

Al suo interno, nel corso dei secoli, il Monastero subì diverse ristrutturazioni; la stessa chiesa, crollata durante il terremoto del 1693, fu interamente ricostruita. Oggi di questa straordinaria opera architettonica rimangono pochi ruderi, con un fascino misterioso e un’idea del sublime.

I monaci basiliani si trasferirono allora nel Monastero di San Michele Arcangelo “Il Nuovo”, costruito nella seconda metà del ‘700, e vi rimasero fino alla soppressione avvenuta in seguito alle leggi del 1866-67. Un edificio maestoso e solenne, di ornamenti sobri e con balconate in pietra baroccheggiante, larghi corridoi, un chiostro interno con archi in pietra e un grandissimo refettorio.

Doveva di certo apparire come un sontuoso fabbricato, un incantevole monumento alla fede in un intorno di natura straordinariamente vivida. Anche del Monastero di San Michele Arcangelo “Il Nuovo” rimangono solo alcune rovine, tra cui parte del prospetto in pietra.

La storia ci riporta all’inizio del nostro discorso, perché è di questi giorni la notizia del parziale cedimento di una parte del perimetro murale del Monastero, che avrebbe dovuto essere salvaguardato e valorizzato piuttosto che abbandonato a un destino di crolli e di vergogna.

L’Oasi Maria SS. e il Comune di Troina hanno informato dell’accaduto il Soprintendente ai Beni Culturali per chiedere un intervento di messa in sicurezza del monumento ed evitare che si possano avere ulteriori cedimenti, e si sta valutando la possibilità di un gruppo di lavoro Oasi e Comune a livello tecnico per un progetto complessivo di recupero di tutto il monumento per renderlo poi in futuro fruibile.

La proprietà dell’area dove ricade il monumento è dell’Oasi, come specifica il presidente dell’Istituto padre Silvio Rotondo, avuta per una acquisizione effettuata nel 1953. Il monastero era stato messo all’asta nel 1866 e lo comprarono due privati, Sollima e Polizzi. Subito dopo la seconda guerra mondiale, l’amministrazione comunale in accordo con i proprietari decise di utilizzarlo come cava per costruire case popolari per i meno abbienti.

Padre Luigi Ferlauto, fondatore dell’Oasi, per impedire un ulteriore decadimento decise di acquisire l’area e di conseguenza il monumento. E fece bene, perché di questa meraviglia attuale non esisterebbe neppure il poco che riusciamo ancora a vedere.

Nelle intenzioni di Ferlauto, la destinazione dell’immobile a un "Monastero della Pace" per il dialogo interculturale e interreligioso, e poi la "Università del Cambiamento", ambizioni che purtroppo si sono scontrate sia con l’esiguità delle risorse, sia con il voler sempre privilegiare gli investimenti nel campo socio sanitario e scientifico dell’Istituto, qualificandone sempre più i servizi.

«Dispiace tanto questo crollo – spiega padre Silvio Rotondo – perché ciò va a deturpare in maniera dolorosa una delle immagini simbolo più belle e piene di storia della nostra comunità. L’auspicio e l’impegno è che al più presto (…), si possa non solo superare questo momento di difficoltà per mettere in sicurezza la struttura, ma si possa anche sviluppare un progetto più ampio, com’era nel desiderio di Padre Ferlauto».

Anche l’attuale sindaco, Fabio Venezia, parla del monumento come elemento di identità per il territorio, auspicando una restituzione alla città e alla fruizione pubblica.

Del Monastero, che ospitava una ricchissima biblioteca i cui tesori letterati sono anch’essi andati perduti, e che una presunta superiore ragione sociale aveva trasformato in grande cava di pietra a cielo aperto, rimangono oggi i ruderi meravigliosi e la tristezza di un crollo che addolora la storia religiosa dell’Isola e la coscienza culturale dei siciliani che hanno memoria.
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