ITINERARI E LUOGHI
A piedi nel polmone (verde) tra i più grandi in Sicilia: dove trovi "il cammino dell'anima"
Trovandoci spesso in quota abbiamo potuto ammirare le maggiori creste montuose, Pizzo Vernà, monte Poverello, Montagna Grande e monte Scuderi
Dorsale dei Peloritani
L’11 settembre 2023 il gruppo “Camminare i Peloritani” ha intrapreso il Cammino dell’anima, un’escursione protratta per sei giorni che dal santuario del monte Dinnammare dal latino bimaris (1128 m,s,l) sopra Messina ci ha portato al santuario di Tindari per complessivi chilometri 120 poi diventati 130, con una percorrenza media di una ventina di chilometri giornalieri.
Le tappe sono state così articolate: Fiumedinisi, Mandanici, Antillo, Novara, Basicò, Tindari ed abbiamo pernottato in strutture diverse.
Abbiamo percorso la dorsale dei Peloritani, altrimenti detta strada militare o regia trazzera che ha compreso il tratto centro occidentale di questi monti che sono la continuazione dell’appennino calabro e geologicamente rappresentano l’unico lembo europeo dell’isola che si è staccato dalla Francia e si è venuto a saldare col rimanente territorio di provenienza africana.
Ce ne siamo fatti un’idea d’insieme ed abbiamo colto le caratteristiche specifiche dei vari luoghi. Così giunti nel demanio di Fiumedinisi abbiamo apprezzato la ricchezza del bacino idrografico di questo territorio che comprende molti torrenti alcuni dei quali come l’Urigo e il Vacco con una buona portata d’acqua nonostante la siccità estiva, tanto che in alcuni punti era possibile nuotare.
Lungo le loro rive abbiamo visto le delicate foglioline di capelvenere che le ammantavano in basso ed abbiamo visto ergersi anche dei giganti come alcuni poderosi pioppi alti una trentina di metri col loro tronco rotondeggiante anche quando forzati da alcune frane hanno preso una direzione obliqua.
Qui abbiamo notato anche le cinquanta sfumature di verde. Quello pallido della chioma dei pioppi e dei platani, quello più lucente delle noci e dei castagni e il colorito smagliante di alcune piante acquatiche come le code di cavallo. Via via camminando abbiamo constatato la forza dirompente di piogge e temporali capaci rompere le montagne e di fare precipitare a valle massi poderosi grandi come delle case.
Ciò è dovuto alla particolare friabilità di questi terreni costituiti di arenaria e di altri materiali incoerenti nella loro parte superficiale e di sedimenti più duri negli strati più profondi. Un geografo del secolo passato l’Almagià vista la tendenza a franare li aveva chiamati sfasciume.
In quota ci siamo imbattuti in muri di contenimento ingabbiati in reti metalliche volti a impedire che la trazzera fosse invasa da una enorme quantità di pietrame, di brecciolino che si era formato da un massiccio roccioso di cui rimanevano solo alcuni brandelli o guglie e che si era letteralmente sbriciolato a causa di qualche bomba d’acqua.
In altre zone abbiamo visto dei torrenti sovra alluvionati, vale a dire col loro alveo più alto rispetto ai campi circostanti. Un esempio l’abbiamo avuto col Capitanello in cui c’era posteggiata chissà da quanto tempo una Panda quasi sommersa da grossi massi che certo non c’erano quando il proprietario ce l’aveva lasciata.
Quando eravamo in vista di Mandanici, abbiamo avuto la sensazione di trovarci quasi ingabbiati visto che ci trovavamo al centro di ben cinque contrafforti montuosi diversi e concentrici.
Qui abbiamo pure notato la straordinaria biodiversità anche in termini geologici dei Peloritani, infatti se prima camminando su alcuni sentieri avevamo avuto la sensazione che ci fossero dei cristalli di sale per il luccicare dei minerali di quarzite, questa volta ci sembrava che fra le pietre vi fosse della carta stagnola. Ciò era dovuto alla presenza di minerali di alluminio.
Più avanti scendendo verso il paese ci siamo imbattuti in un costone roccioso in cui c’erano delle lastre di pietra luccicanti come bagnate, ma in realtà erano perfettamente asciutte ma qualcuna addirittura riluceva come se fosse coperta da un sottile strato di ghiaccio, ciò era dovuto sempre all’effetto della bauxite.
In questo cammino trovandoci spesso in quota abbiamo potuto ammirare le maggiori creste montuose, Pizzo Vernà, monte Poverello, Montagna Grande e monte Scuderi un massiccio calcareo marmoricato a forma di cuneo, di sparviero secondo altri, che abbiamo visto splendere sotto i raggi solari che ci hanno sempre accompagnati.
Trovandoci invece a mezzacosta di una delle montagne che sovrastano Antillo, abbiamo ammirato la sagoma brunita rossastra di Rocca Castello che se non ci avessero informati che trattavasi di una conformazione naturale l’avremo certamente preso per una fortezza, un maniero medioevale con tanto di torrioni ai lati.
Lasciando Antillo per la tappa che ci avrebbe portati a Novara, abbiamo ancora continuato in quota a vedere le creste delle montagne.
Per un ampio raggio non abbiamo potuto non ammirare quella che è la regina di queste vette, vale a dire la Rocca Salvatesta o rocca di Novara a forma di torre con la sua consorella Rocca Leone che si stagliano eleganti e biancheggianti dal vasto declivio su cui sorgono.
Abbiamo pure ammirato la ricchezza avicola di queste zone, le pernici col loro manto variegato, le poiane volteggianti nel cielo con voli obliqui e il gheppio che abbiamo visto fermo nell’aria perfettamente in verticale poiché questo uccello riesce a sfruttare le correnti ascensionali.
In alcuni ripiani fra Fondachelli e Novara abbiamo notato delle stupefacenti formazioni geologiche: le filladi con l’aspetto di grossi gomitoli rocciosi con striature gialle e rossicce che stavano appoggiate sul terreno come se qualcuno ce le avesse poste salvo accorgersi che sbucavano da un pendio. In realtà si sono mineralizzate negli strati profondi ad alte temperature e poi sono emerse.
Com’è noto l’orogenesi ancora continua e questi monti crescono al ritmo di un millimetro all’anno. I tempi geologici comprendono milioni di anni.
Cammin facendo abbiamo intrapreso un sentiero ai piedi della Rocca e da lì abbiamo iniziato un percorso in discesa su una leggera depressione del vasto declivio, ci siamo inoltrati costeggiando biancheggianti mini piramidi rocciose e siepi di ginestre, fino a quando siamo giunti alla base di un tozzo e bianco massiccio calcareo grande quanto un palazzone, spoglio per largo tratto ma più in alto coperto da bruni ed intricati cespugli di edera che aveva assunto una connotazione quasi arborea.
I paesani lo chiamano : «U Guggittu» e costituisce una superba postazione di avvistamento su tutta la vallata, quasi una torre di guardia.
Da qui abbiamo visto il paese in cui siamo giunti oramai all’imbrunire.
Il giorno dopo abbiamo intrapreso la penultima tappa Novara – Basicò quella più facile di soli 16 chilometri e con meno dislivelli, ma con il nostro bagaglio energetico ormai prossimo ad esaurirsi, così abbiamo cercato di aiutarci con delle bustine di integratori contenenti sali minerali ed anche con quelli contenuti nei fichi dolci e succosi certe volte presenti ai margini del nostro percorso.
Per raggiungerli però bisognava allungarsi al massimo e risultava fondamentale avere una statura elevata in linea con un detto popolare: «Cu è longo cogli i fica, cu è curtu si lamica» nell’ultima tappa Basicò – Tindari non abbiamo potuto percorrere il sentiero Coda di Volpe una suggestiva scalinata con vista sul mare che ci avrebbe condotti direttamente ai piedi del Santuario perché un incendio l’aveva reso impraticabile.
Ragion per cui abbiamo fatto un giro più largo percorrendo i margini della strada statale. Durante il tragitto non abbiamo potuto non rattristarci vedendo la collina annerita e ci siamo chiesti come possono degli uomini avere cuore di compiere un tale scempio.
Per fortuna un improvviso cambio di vento, un soffio di maestrale aveva deviato le fiamme che non hanno lambito il Santuario e le case.
Qui giunti nonostante conoscessimo bene i luoghi per esserci stati infinite volte, non abbiamo potuto fare a meno di stupirci per la magnificenza del santuario con la sua facciata dorata e per la bellissima veduta sui laghetti di Marinello che si ha affacciandosi alla balconata della piazza antistante.
Entrati dentro questo magnifico luogo di culto, abbiamo concluso il nostro viaggio con una preghiera così come l’avevamo iniziato. Questa volta essa è stata di ringraziamento per essere arrivati alla fine stanchi come era largamente previsto, ma incolumi: cosa niente affatto scontata.
Se ti è piaciuto questo articolo, continua a seguirci...
Iscriviti alla newsletter
|
GLI ARTICOLI PIÙ LETTI
-
STORIA E TRADIZIONI
Lo sfarzo a Palermo, poi il furto e la crisi: i gioielli perduti di Donna Franca Florio