CULTURA
Un ritrovamento che riscrive la storia della Sicilia: il Rostro del 241 avanti Cristo
Il recupero di questo reperto rilegge la storia: conferma infatti l’esatto tratto di mare in cui avvenne l’epico scontro che ha cambiato la sorte della Sicilia
Il recupero di questo reperto si ritaglia uno spazio d'eccezione nella rilettura della storia: confermerebbe infatti l’esatta ubicazione del tratto di mare dove, il 10 marzo del 241 avanti Cristo, avvenne l’epico scontro che ha cambiato le sorti della Sicilia e del Mediterraneo.
Conservato per oltre 2200 anni a circa 80 metri di profondità in un settore a nord-ovest dell’isola di Levanzo, il recupero del rostro è stato possibile grazie a una fruttuosa collaborazione tra la Soprintendenza del Mare e la RPM Nautical Foundation statunitense.
Il rostro si presenta in buono stato di conservazione ma è visibilmente danneggiato dalle azioni di guerra. La guaina superiore presenta una decorazione costituita da un elmo con tre piume in altorilievo; visibile anche l’iscrizione recante il nome del questore che contribuì finanziariamente alla realizzazione della micidiale arma da guerra. Novità assoluta tra i dodici rostri finora identificati, questo reperto conserva ancora al suo interno una porzione lignea della prua navale, elemento che permetterà studi dettagliati sulle tecnologie di costruzione navale dell’epoca.
In quei giorni i Cartaginesi di Amilcare restarono assediati dai Romani sulle balze nord-orientali del monte Erice, nei pressi dell’attuale Bonagia. Inoltre l’arrivo della flotta romana a Drepanum (l’antica Trapani) e nella rada di Lilibeo aveva tagliato qualsiasi collegamento tra la Sicilia e Cartagine.
Informati della situazione, nella città punica organizzarono così una flotta navale in aiuto delle truppe di Amilcare assediate dai Romani. Le navi raggiunsero Marettimo, dove attesero condizioni meteorologiche favorevoli per l’ultima volata verso le coste della Sicilia. Annone e le sue truppe avrebbero evitato i mari di Drepanum e Lilibeo controllati dai Romani, optando per una rotta più settentrionale, a nord di Levanzo, che li avrebbe condotti direttamente nella zona dove si trovavano i Cartaginesi intrappolati.
Lutazio Catulo, informato della strategia della flotta punica, decise di tagliarne la rotta con una contromossa a sorpresa. Lo scontro avvenne dunque a nord/nord-ovest dell’isola di Levanzo laddove le ricerche archeologiche effettuate in collaborazione con la RPM Nautical Foundation hanno messo in evidenza le prove che ormai fugano ogni dubbio sulla reale dinamica della battaglia.
La flotta romana si nascose dietro l’alta mole di Capo Grosso di Levanzo e, quando vide sopraggiungere il nemico a vele spiegate, diede ordine di tagliare le cime d’ormeggio e salpare in fretta in modo da colpire le navi nemiche al traverso.
Le navi romane, al contrario di quelle cartaginesi cariche di vettovaglie e materiale vario, erano molto leggere, risultando più veloci nelle operazioni di manovra.
In breve tempo i Romani riuscirono ad affondare ben cinquanta navi ed altre settanta furono catturate complete di equipaggio. In preda al panico parte della flotta riuscì a tornare indietro verso Marettimo e Cartagine, mentre circa diecimila uomini caddero nelle mani dei Romani.
L’esito della battaglia navale spinse Amilcare a chiedere la cessazione delle ostilità, arrendendosi ai Romani e segnando ufficialmente la fine della prima guerra punica.
Una storica vittoria, celebrata da Gaio Lutazio Catulo con la costruzione di un tempio presso il Campo Marzio di Roma, ancora oggi visibile nell’area oggi nota come Largo di Torre Argentina.
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