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Se a Palermo un murale vale più di una Biennale: riflessioni sull'arte in città

Suona curioso che le immagini artistiche forti di Palermo, che aprono dibattiti e riflessioni, nascano al di fuori dei processi istituzionali tanto proclamati e finanziati

  • 2 agosto 2018

Franco Franchi nel murales di CrazyOne a Ballarò (Palermo)

In questi giorni a Palermo è in corso un progetto artistico affascinante: affidata all’opera di cinque artisti cittadini c'è la realizzazione di altrettanti murales nel quartiere dell’Albergheria.

Gli artisti sono Igor Scalisi Palminteri, Andrea Buglisi, Alessandro Bazan, Fulvio Di Piazza e Crazyone (guarda le immagini dei grandi murales).

Questo intervento finanziato da Elenk’art, è, io credo, una importante azione artistica sulla città. Porta del bello in aree degradate, restituisce centralità al segno artistico, valorizza nostri artisti.

Questi interventi fanno seguito al discusso, e per me bellissimo, ritratto di San Benedetto il Moro di Igor Scalisi Palminteri (leggi di più su questo altro progetto), un’opera che si è inserita con forza nel dibattito politico in corso.

Dimostrando quanto l’arte possa, e dal mio punto di vista debba, essere parte del processo civico e culturale e non debba essere mero esercizio di stile in ossequio alle categorie borghesi del bello.
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Questi interventi fanno seguito al murale dedicato a Falcone e Borsellino alla Cala lo scorso anno, al dipinto, sempre di Igor alla Vucciria dedicato alla Santa Morte (questo), e agli interventi di Uwe (di lui parlaimo invece qui), conclusi con la copertura della camera di compensazione e il suo abbandono della Vucciria.

Sono segnali a mio avviso importanti di una città che prova a interrogarsi, dare risposte, cercare la via del bello usando l’arte come strumento di riflessione e confronto.

Con l’occasione faccio i miei complimenti a tutti gli artisti coinvolti in questi anni in interventi d’arte e anche ai vari soggetti pubblici e privati che hanno deciso di sostenerli in questi processi.

L’immagine di San Benedetto il Moro prende una posizione chiara sul dibattito nazionale in corso, l’immagine di Uwe alla Vucciria che copre gli affreschi della camera di compensazione prende una posizione chiara sul processo speculativo in atto alla Vucciria.

Queste due sono probabilmente le immagini forti di questa prima metà del 2018. L’arte interviene in modo significativo nelle dinamiche civiche e cittadine.

Suona curioso che nell’anno di Palermo capitale della cultura e di Manifesta a Palermo, le immagini artistiche forti della città, quelle che appartengono al vissuto e riescono ad andare oltre i confini cittadini, quelle che aprono dibattito e riflessione, nascono al di fuori dei processi istituzionali tanto proclamati e finanziati.

C’è da una parte la città che discute, si anima, prova a essere parte di un racconto che le appartiene e dall’altra l’istituzione ingombrante per la sua evanescenza, che tenta in modo maldestro di inserirsi in percorsi e processi internazionali prescindendo dalla identità del territorio che rappresenta. Quasi con vergogna guarda altrove.

Io credo che al di là dei numeri dei flussi, l’organizzazione parla di 100mila presenze per Manifesta, numeri che ammesso si realizzino sembrano comunque poca cosa rispetto all’investimento di oltre quattro milioni di euro in tre anni attinti dalla tassa di soggiorno.

Ma il fallimento di Manifesta è, io temo, soprattutto culturale. La manifestazione è costruita sull’idea che i processi culturali si possano acquistare a pacchetto e che il prodotto culturale di un territorio prescinda dal potenziale culturale e progettuale del territorio stesso.

Quale è stato il ruolo della città nella genesi del progetto? Quale, oltre a quello di offrirsi ancora una volta come contenitore?

Io credo che il compito di un'amministrazione consista nell’innescare processi virtuosi e, quando necessario, sostenerli. Credo che la base artistica della città presenti talenti e potenziale molto alto.

Credo che Palermo dovrebbe investire per un proprio ruolo negli scenari internazionali dell’arte senza il bisogno di grandi carrozzoni come Manifesta, che promettono tanto ma che fanno poco, che generalmente concentrati nell'autocompiacersi finiscono per drenare risorse restituendo ben poco in cambio.

Anche in termini di comunicazione veramente poca cosa. Passatevi il capriccio di digitare "manifesta Palermo" su Google, gli articoli sono tutti a ridosso del 15 giugno, data dell’inaugurazione.

Manifesta ha esaurito il suo interesse il giorno stesso in cui è iniziata. Fate lo stesso con "murales Palermo", valutate voi stessi.

La mia, sia ben chiaro, non è una critica a curatori e ad artisti ospiti che sono qualificatissimi referenti, e io non ho interesse a giudicare il prodotto artistico in se.

Ovvero non so se quanto realizzato a Palermo interpreta il bello in ossequio alle categorie borghesi. Quello che posso dire è che al momento percepisco Manifesta come una specie di feticcio posato su di una città affaccendata in altro.

Avrebbe potuto essere posato ovunque procurando lo stesso effetto: nessuno.

A mio avviso è il processo stesso che Manifesta ha avviato e avvia sul territorio il problema, complice probabilmente una amministrazione un po’ incompetente e probabilmente assente.

Un processo nel quale la città si offre come scatola e vetrina, dando spazio a riflessioni che in alcuni casi, mi viene in mente l’opera "Invest in Palermo" (della quale ho parlato qui), mi appaiono un po’ banali e superficiali. Ovvero distanti dal vissuto e dalle contraddizioni reali della città.

Da altre parti, mentre Manifesta arranca alla ricerca di una identità e di un senso, la città si esprime sui muri, negli scantinati, in decine di iniziative che per fortuna danno la sensazione che passata Manifesta potremo finalmente occuparci di arte, cultura e futuro a Palermo.

Per questo ritengo che le iniziative artistiche dei vari murales in giro per la città valgono doppio, sono vita presente e prospetto futuro.
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