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Palermo paradiso perduto: dalla classifica del Sole 24 Ore al racconto del futuro
Una classifica nazionale pubblicata da Il Sole 24 ore vede Palermo in fondo: dalle attività di spettacolo, alla presenza di esercizi commerciali, alle attività sportive
Via dell'Orologio a Palermo
Ovviamente se lo avessi visto avrei impedito a mia figlia di mettere i piedi sul sedile. Però sono certo che non l’avrei mai detto al figlio di un altro. Sembra poco ma è tanto. Lo spirito di appartenenza alla comunità è tale a Parigi che ognuno si sente e, pertanto, è garante del bene collettivo, e questa funzione viene riconosciuta a ciascuno dalla stessa comunità.
La metropolitana che porta alla RER, la ferrovia locale che conduce ad Eurodisney, è in manutenzione. Occorre seguire un percorso alternativo e raggiungere a piedi la fermata. Per tutto il percorso, che si articola per le vie della città, cartelli e personale delle ferrovie danno istruzioni alle migliaia di turisti che tutto il giorno usano quel mezzo per raggiungere il parco.
In una recente classifica nazionale sul tempo libero pubblicata da Il Sole 24 ore (ecco il link al quotidiano di economia), Palermo, come ormai di abitudine, risulta in fondo. Superata non solo dalle solite Firenze e Venezia, ma anche da città come Como, Catanzaro, Nuoro, Lecce.
A parte la specifica classifica sulle esposizioni d’arte che vede Palermo al 14° posto, siamo in fondo alla classifica per tutto, dalle attività di spettacolo, alla presenza di esercizi commerciali, alle attività sportive che vedono Palermo addirittura al quint’ultimo posto su 107 città.
Qualche anno fa ero a Dublino con i miei figli, erano molto piccoli. Appena arrivati nell’ascensore del condominio dove avevamo preso casa, incontrammo una signora. Si fece dare la nostra mappa della città e cerchiò tutti i parchi vicino casa dove erano presenti giochi per bambini.
Di questo gesto mi ha impressionato da una parte la quantità di parchi gioco presenti nel quartiere dove risiedevo, ma anche il modo in cui la signora volle indicarci che la sua città era accogliente. Guardava la sua città con gli occhi di una madre che comprende le esigenze di chi ha figli. Anche io per la verità non avrei difficoltà ad indicare tutti i parchi gioco per bambini del mio quartiere, purtroppo si fa molto presto.
Mi chiedo spesso se i nostri amministratori hanno figli, e se hanno mai provato ad immaginare la città come se dovessero viverci con loro. Perché un’altalena o un campetto di calcio non costano nulla e cambiano profondamente il punto di vista di chi la città la abita veramente.
Per lo stato di degrado di Palermo, per le posizioni infime in ogni classifica, per quanto non funziona sarebbe fin troppo semplice prendersela con l’amministrazione e con il Sindaco. Sia ben chiaro non sto dicendo che non è loro la responsabilità, considerato peraltro che questa città è stata plasmata cosi da questo sindaco negli ultimi 30 anni.
Io credo però che Orlando sia responsabile nella misura in cui rappresenta la classe sociale dominante che ha di fatto avuto il controllo della città. Non è, a mio avviso, il fallimento di un solo uomo.
Mi riferisco alla borghesia radical che ha di fatto espresso la classe dirigente a Palermo, e che rappresenta anche una parte della base finanziaria della città. Il fallimento di questo gruppo di potere sta a mio avviso nell’assenza di una visione generale. Tutto ben nascosto dietro proclami di ordine generale e tanti luoghi comuni. Fateci caso, manca sempre nel racconto di Palermo il futuro, c’è tanto passato ed un po’ di presente, ma nessuna visione di una città futura.
Io accuso questa classe dirigente di avere prodotto una visione decadente della città ed di averla alimentata nella narrazione della città stessa: il racconto di un paradiso perduto, un luogo di dramma e sofferenza, inchiodato nella rappresentazione di Palermo Palermo di Pina Baush, che da fotografia splendida e puntuale, è diventata la cornice dentro la quale muovere la città.
E così vince la narrazione di una città morente, non più recuperabile, abitata da cittadini che la sporcano, e che vanno tenuti in periferie sempre più degradate e lontane dal salotto cittadino.
Questo invece è pulito ed ordinato, come il salotto buono delle nostre nonne, perché quella è la sola città che riconoscono tale, nella quale mostrarsi in favore di camera per raccontare al mondo la disperazione di una città morente ed accogliente o, se preferite, invece che sporca ed abbandonata, semplicemente ed "orgogliosamente mediorientale".
E questo scenario di disfatta e sconfitta è il fondo ideale sul quale Orlando e la sua corte possono alimentare la narrazione di se stessi come l’ultimo argine di speranza in una città morente.
La città sconfitta è necessaria per costruire la retorica della salvezza affidata ad un solo uomo, quello che lo sa fare, quello che, sulla carta, lo fa da che mi ricordi.
In tutto questo mentre questo schema è funzionale alla retorica orlandiana, mi chiedo se mai la borghesia radical ha provato a guardare la città oltre la propria necessità di autompiacersi della sua amara decadenza. Deve fare molto chic riunirsi nei salotti buoni della città e lamentare il dramma di una città morente tra una tartina ed un sorso di Müller Thurgau biologico della Valtellina a chilometro zero.
La vita mi ha insegnato che arriva ultimo chi non prova ad arrivare primo. La responsabilità di questa mediocre classe dirigente è quella di avere prodotto una narrazione di sconfitta e questa è la base su cui è stato costruito il progetto della sconfitta di Palermo. Ed il premio è il rincorrersi degli ultimi posti in tutte le classifiche possibili ed immaginabili.
Io credo che per non essere ultimi, perché non ce lo meritiamo, occorre cambiare la narrazione della città che ciascuno di noi fa, ed avere il coraggio di immaginare Palermo diversa e migliore. Guardare al futuro riprendendo l’orgoglio di appartenenza con la fatica e la partecipazione di tutti.
E costruendo un senso di comunità nuovo, mettere adesso il seme che la prossima generazione, quella dei miei figli per intenderci, possa cogliere.
Dobbiamo smettere di compiacerci dei nostri e suoi difetti, come troppo spesso facciamo, ma agire per cambiare.
Occorre dirsi che siamo indietro e che occorre rialzarsi e che nessuno lo farà per noi. Ripartendo da ciascuno e dalla capacità, per esempio, anche di rimproverare il figlio di un altro se anche solo involontariamente danneggia una cosa pubblica.
Perché, la narrazione della sconfitta di Palermo ha trovato nutrimento nell’individualismo e nell’autocompiacimento, che sono i veri demoni della nostra città e di chi malauguratamente la gestisce a suo esclusivo uso e consumo.
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