AMAZING (DIS)GRACE
Palermo magica, maledetta, incantevole: passano gli anni e tu mi manchi ancora
Un legame quello con Palermo che non si spezza neppure vivendo nella città più moderna d'Italia: ma chi se ne frega della modernità, quando si amano le balate?
Uno dei vicoli del centro storico di Palermo
Ho sempre contato i giorni che mi separavano da un atterraggio a Punta Raisi, da una brioche con gelato anche in pieno dicembre, dall’odore del mare – quel mare solo nostro – che avrei assaporato durante le ferie estive.
Ho sempre contato i giorni e forse, perdendomi in quei countdown, ho iniziato a credere che alla fine quei ricordi di Palermo – causa di tanta nostalgia – fossero solamente una mia esagerazione. O, semplicemente, una distorsione che in maniera naturale applica la nostra mente ai momenti del passato che custodiamo con particolare affetto.
La mente sa modificare i ricordi, convincendoci che determinati periodi siano stati più belli e più intensi di quelle che in realtà sono stati. Anche il nostro stato d’animo attuale condiziona il modo in cui ricordiamo il passato: all’improvviso, quel periodo lontano può sembrarci qualitativamente migliore di quello attuale, anche se così – in realtà – non è.
Possibile, mi sono detta. Molto probabilmente ingigantivo i ricordi che avevo di quei momenti di vita trascorsi in quei vicoli del centro storico e avvolta da quella luce gialla.
Ma poi accade che bastano tre giorni per smentire te stessa. Perché scegli di tornare giù per goderti un weekend tutto palermitano, da trascorrere salutando gli amici lasciati lì e ripercorrendo quelle stradine e quei vicoli dove hai passato gli anni di università e quelli successivi, da lavoratore precario.
Così ho ripercorso quelle strade per tre giorni e mi sono resa conto che ogni angolo custodisce un attimo preciso del mio passato - un passato poi non troppo lontano.
Mi sono resa conto che ogni angolo custodisce un pezzo di me. Una me che tra quelle strade è crescita. Una me che sono ancora. Una me che non sarebbe stata così senza quella città.
Mi sono resa conto di tutto questo quasi subito dopo l’atterraggio a Palermo. Appena giunta davanti il Politeama ho iniziato a percorrere la strada indicata da Google Maps per raggiungere il mio b&b. Mi è bastato posare lo sguardo sull’insegna di una pizzeria – una pizzeria come tante – per ricordarmi di amici adesso migrati come me.
Di tranci di pizza divorati all’una di notte. Di passeggiate in centro, nel silenzio della sera, a contemplare la bellezza del Teatro. No, non esagero nel ricordare quei dieci anni passati a Palermo come un periodo importante, essenziale e - soprattutto - bello. No, non sto sopravvalutando i ricordi di quella città, magica e dannata.
Esattamente tre anni fa ho lasciato quei luoghi e la gente che rende quei luoghi unici: dopo tre anni fa, il legame non è cambiato. Perché Palermo ha sempre saputo tirare giù le mura dalla mia timidezza. Perché quella luce gialla continua – ancora oggi – ad avvolgere tutti in un abbraccio umano.
Perché Palermo è bella, seppur tormentata. Perché Palermo è dieci anni di vita vissuta intensamente. A piedi. In bicicletta. Con un pc nello zaino, da una parte all'altra della città.
Perché Palermo è tantissimi volti incrociati, tantissime storie conosciute. Amicizie vere lì costruire e che resistono - esistono ancora. Perché Palermo è un tripudio di colori infinito, di culture che si intrecciano e le donano mille e uno volti. E per questo è una scoperta continua, una ricerca senza sosta.
Un legame che non si spezza neppure vivendo nella città più moderna d'Italia. Ma chi se ne frega della modernità, quando si amano le balate?
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