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Ode alla 101 di Palermo: un autobus che taglia la città e ne conserva le atmosfere

Mentre sono sul bus numero 90, a Milano, non posso fare a meno di ricordare "la 101": collega la città da una estremità all'altra portandosi dietro la varia umanità

  • 16 novembre 2018

Un bus dell'Amat a Palermo

Il sacchetto della spesa in plastica di un iper market della città è il forziere di quel piccolo tesoro che ogni mattina vanno a riscuotere, sempre nello stesso posto, sempre alla stessa ora.

Sempre in fila su quel lungo marciapiede, sotto il sole cocente che in Lombardia – in estate - non dà tregua o sotto i fiocchi di neve di gennaio.

La loro testa cade giù, spinta dalla gravità e dall'ennesima notte insonne, trascorsa spostandosi da un autobus notturno all'altro. La loro testa cade giù e rimbalza mentre l'autobus scivola verso l'ennesima curva, o mentre si lascia alle spalle un dorso artificiale della circonvallazione. Mentre si cerca di raggiungere quel lungo marciapiede.

Sono le otto del mattino e i loro abiti hanno ancora l'odore della notte, di sudore accumulato mentre si è cercato riparo tra coperte di fortuna. C'è chi ha addosso anche l'odore del cartone.

Del cartone delle scatole da imballaggio che diventa letto, casa, guanciale, brandina.
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I loro occhi fissano il vuoto e fingono di scrutare con attenzione il mondo che scorre, corre, fuori dal finestrino. Intorno a loro, Chanel e Dior, decollette e cravatte, fresche messe in piega e odore di profumi di marca appena spruzzati addosso, sul collo, sui preziosi vestiti.

Ventiquattro ore in cuoio o borse sorrette da una mano, mentre l'altra è impegnata a scorrere le pagine dei social, a cestinare email, a voltare pagine nell'ebook reader.

Verso quell'odore della notte, seduto e che cerca di rendersi invisibile, si lancia uno sguardo di compassione, o di fastidio, o di indifferenza. O, semplicemente, lo sguardo di "Eccheppalle sti barboni".Ed è inutile dire "vadano a casa loro" perché la loro casa è la 90.

Avanti e indietro, tutto il giorno, sulla circonvallazione, passando dalla circolare destra a quella sinistra. Con una pausa per riscattare il proprio tesoro: una borsa piena di frutta e verdura, di pasta o biscotti, barattoli di legumi o di tonno.

La carità, la povertà, la premura, lingue diverse, passati e presenti differenti che si incontrano e si scontrano tra sedili sempre occupati, tra spintoni volontari e involontari, tra dresscode di ultima tendenza e un paio di scarpe logorate dal tempo e dalle piogge.

Non c'è scampo, per chi una casa non ce l'ha. Ed è lì, sulla 90, che devono fare i conti con il loro presente.

Ed è lì, sulla 90, che tutti facciamo ogni giorno i conti con la miseria, la guardiamo in faccia. E ci chiediamo se un giorno non toccherà a noi doverla affrontare.

Qualche sera fa, per puro caso, stiracchiata nel mio letto e sotto due caldi plaid ho guardato "Gli invisibili" di Richard Gere. Un pugno allo stomaco.

Perché sì, ti rendi conto che un giorno potrebbe toccare a chiunque di noi, al te, al tuo vicino di casa, ritrovarsi sballottato sulla 90, a dover reggere lo sguardo di uomini in giacca e cravatta e di donne in tubini e decollette a cui darai fastidio.

Perché la povertà da fastidio. Ci ricorda cosa potremmo essere e cosa lasciamo che gli altri siano.

La prima cosa che ho pensato, però, dopo i miei primi viaggi sulla 90 è quell'essere un po' anche la 101 di Palermo. Quell'autobus che collega la città da una estremità all'altra, che attraversa i quartieri bene per poi finire alla stazione, dopo aver costeggiato Ballarò e Vucciria.

Quell'autobus che si riempie di uomini e donne migranti che fanno qualsiasi lavoro – qualsiasi – per poter tirare avanti in una città economicamente povera ma ricca nell'anima.

Ci sono uomini e donne del centro storico, della Palermo antica, delle viuzze coperte di sampietrini, che si spostano da un mercato all'altro con borse colme di verdure e di pesce.

Gridano, urlano. Inveiscono contro i controllori: non hanno il biglietto e non vogliono la multa. Inveiscono contro il ragazzino maleducato che non cede il posto all'anziano. Inveiscono contro quel cornuto che ha azzardato un sorpasso di troppo e che ha rallentato l'autobus.

C'è chi parla al telefono in arabo, chi in spagnolo, chi in altre lingue a me incomprensibili sulla 101 come sulla 90.

E sono quei momenti lì – quei ricordi della 101 – che mi fanno ricordare Palermo anche se viaggio sulla 90. Perché l'intreccio di lingue diverse, passati diversi, migrazioni diverse, mondi diversi si intrecciano in quell'autobus milanese che collega, seguendo una circonferenza, tutta la città.

Un autobus che gira intorno al cuore della città. Mentre giù, nella mia isola, la 101 percorre Palermo dalla testa ai piedi, attraversandone il cuore.

Due autobus, due identità, due cuori, due mondi diversi ma così simili in quel circuito di lingue e culture che sono ricchezza, non povertà. E che ti fanno ricordare che ovunque sei a casa.
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