STORIE
Vive in compagnia delle sue capre e dell'Etna: è l'eremita che sa (anche) lavorare all'uncinetto
Nino ha 44 anni e vive nella casa dei nonni che ha ristrutturato. Innamorato della sua terra ha lavorato per anni a Modena, con un unico scopo: mettere da parte i soldi per tornare
Nino Laudani, l'eremita
Sono al Rifugio Sapienza sull'Etna, ovunque guardo ci sono gradazioni di nero, non mai avrei immaginato quante sfumature può avere questo colore. Mi avvicino a questo strano personaggio con panciotto, fazzoletto rosso al collo e coppola di velluto. Offre in cambio di un'offerta un souvenir, la pietra con la coccinella. La scelta dell'animaletto è comprensibile, basta guardare per terra dove brulicano questi esserini rossi a pois neri. Sono francamente stupita e chiedo come fanno a vivere su una distesa così brulla e dall’aspetto inospitale.
Mi risponde che ce ne sono tante sul Vulcano, l’ambiente privo di qualsiasi sostanza inquinante favorisce la loro vita, e qui trovano abbondante nutrimento nei detriti della lava, pieni di larve, sono dei formidabili predatori. Rimane un mistero come possano sopravvivere all’ibernazione durante il freddo invernale.
È Nino Laudani ha 44 anni di Nicolosi, vive poco lontano da qui, nella casa dei nonni che ha ristrutturato. Innamorato della sua terra ha lavorato per anni a Modena, con un unico scopo: mettere da parte i soldi per tornare. Da piccolo ha appreso dal nonno tutti i segreti della "Montagna" amando e sperimentando la sua potenza. Nei pomeriggi ascoltava i racconti della nonna mentre lavorava a uncinetto, tecnica che a forza di guardare ha appreso anche lui.
Parla lentamente scandendo ogni parola, tipico di chi è abituato a non aver sempre degli interlocutori con cui confrontarsi. Mi dice che ha cinque capre, Antonietta, altre tre femmine e un maschio, 4 pavoni lasciati liberi, "è spettacolare vederli volare sugli alberi", 40 galline che gli producono 1200 uova che lui vende e con cui si mantiene, due pappagallini, cane, gatto, due tartarughe, un orto e degli alberi da frutta. La sua casa ha 5000 metri di terreno immersi nel parco dell’Etna.
Gli chiedo come fa a vivere da solo, mi risponde che non è solo, l'Etna ha un'anima ed è piena di creature, basta saper ascoltare e guardare con pazienza e rispetto. Mentre racconta, i turisti lasciano un'offerta prendendo un sassetto, lui insiste perché ne prendano altri, augura a tutti felicità. È un piacere sentirlo, infonde serenità. Prima di andare via mi riempie le mani di pietre e coccinelle, vuole solo una moneta, ma non lo ascolto. Emozionato e stupito guarda la modesta cifra che gli ho lasciato, mi dice che la conserverà per comprare due alberelli da frutta da piantare nel suo terreno si chiameranno “Susanna e Francesco”, tutto e tutti hanno un nome nel suo eremo. Sono commossa.
Prima di allontanarmi dice che questo è il periodo più bello per visitare l'Etna, il nero della lava diventa un fondo, come in un quadro ad olio, dove risaltano come dense pennellate le varie tonalità di giallo della ginestra e il tenue carminio della rosa canina. Ritornando verso la piazzola del rifugio, ripenso al brano dei Beatles "The Fool on the Hill" il suo significato, dopo aver conosciuto Nino, mi è chiaro.
Vicino al parcheggio, la situazione è completamente diversa ci sono un gruppo Bikers con le loro moto cromate e rombanti, stanno facendo il giro dell’Etna, vari negozi, uno dei quali ha un’insegna "Lava Stone", non posso fare a meno di sorridere, per il gioco di parole.
Affamati pranziamo sotto una tettoia con un barbecue. La carne è ottima, scopro che è di cavallo, pensavo che non l'avrei mai mangiata, ma in questo posto è facile abbandonare certezze consolidate. Accanto a me una coppia ascolta un uomo maturo che parla senza fermarsi. È inarrestabile come un fiume di lava, sembra una guida, ma è solo un visitatore come noi, innamorato della sua città: Catania.
I suoi racconti sono un mix tra storia e leggenda, come quella della scolaresca che esplorando i sotterranei dell’anfiteatro di pietra lavica a Catania, si perse non tornando più, o la ragazza murata viva per gelosia, il cui balcone è ancora visibile, e l’immancabile festa di Sant’Agata. Sorrido alla coppia, non riesco a decifrare le loro reazioni. Per dargli tregua li invito a un brindisi con l'amaro del posto il “fuoco della Sicilia”. Il perfido oste nel riempire i bicchieri, ordina: «giù in un solo sorso».
Tutti e quattro ubbidiamo… ed è così che 75 gradi di lava incandescente attraversa il nostro corpo. Supppongo che qualsiasi virus o batterio, se presente, si sia arrostito, così anche qualche organo; ho la sensazione che mi esca fumo dalle narici e sento distintamente un fischio prolungato nelle orecchie. Guardo la commensale che ho coinvolto nella degustazione, ha gli occhi sbarrati e mi dice con un filo di voce «ma siamo sicuri che dietro quest'eruzione non c'e questo amaro?» Non riesco a rispondere.
Sufficientemente ottenebrati, ci salutiamo confidando di recuperare senno e respiro.
Una volta in strada, decidiamo di fare una deviazione per Milo. Arriviamo così alla grande casa rosa, sul cancello continuano a esserci bigliettini e fiori. Siamo alla villa di Battiato. Sul muro c'è un’edicola votiva, è vuota, sicuramente una sua scelta. È un luogo che trasmette tanta tristezza e malinconia. Rimaniamo in silenzio qualche minuto a pensare, prima di tornare a Zafferana, questo assaggio della "Signora", è solo un preludio, domani continuerà il viaggio: Siracusa ci aspetta.
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