STORIE
Vive al Nord ma torna in Sicilia (per fare vino): chi è Salvatore, il "viticoltore eroico"
Il suo lavoro gli regala "profonde emozioni", permettendogli di curare il territorio e di contribuire in qualche modo alla sua economia offrendo lavoro. La sua storia
Salvatore Cicco
A spiegarcela nella suggestiva atmosfera della vendemmia è Salvatore Cicco, viticoltore illuminato, nato a Gangi migrato a Milano che non ha mai abbandonato del tutto la sua terra.
Già il posto in cui dimorano questi filari, la Contrada San Giaime, ha una particolarità che rimane nel nome della contrada che racconta una storia di cammini e pellegrininaggi, riferimento a quel "San Giacomo" patrono dei viandanti e pellegrini.
Leggenda racconta che questi ultimi attraversando la Sicilia diretti verso la città del santo di Compostela e partiti dal lontano Medio Oriente, passavano anche da questo territorio per raggiungere la via che conduceva in Europa, e qui portarono il vitigno coltivato in Persia, il mitico Syrah che raggiunse successivamente altri angoli dell'isola divenendo uno dei più coltivati.
Salvatore, oggi settant'anni egregiamente portati con una vitalità invidiabile ed uno spirito di iniziativa che farebbero impallidire qualsiasi giovane, vive per una parte dell'anno ancora nel lontano Nord ma torna sempre in Sicilia, le sue sono radici profonde e antiche proprio come le viti che coltivava suo padre.
Lui ci racconta come dietro un vino ci sia una storia fatta di amore innanzitutto, di cura, di attenzione per la terra, per le tradizioni...di sacrifici.
E aggiunge, "di storia di famiglia". Lo andiamo a trovare in piena vendemmia, il momento apice di tutto un anno di attività che sbocciano in questo periodo per trasformare quel nettare degli dei arrivato fino ai nostri giorni: la storia del vino è storia di uomini.
Lui è partito a 19 anni perché voleva studiare giurisprudenza ed in effetti avvocato lo è stato, lavorando poi per il Ministero di Grazia e Giustizia fino alla pensione, ma il suo legame con Gangi e la famiglia non è mai venuto meno, qui ha sposato Maria la ragazza che ha incontrato durante una delle estati in cui rientrava, e qui sono cresciuti d'estate i figli Alessio e Ilaria, nati a Milano, correndo tra queste piante seguendo nonno e padre in vigna, respirando l'aria di questa Sicilia delle radici, il sapore dell'uva matura, il profumo del mosto e il sapore del nostro vino.
In questa piccola vigna a conduzione familiare sono rimaste l'eredità e la memoria che hanno resistito in un ambiente molto particolare che ci fa tornare all'inizio del nostro racconto, la viticoltura eroica.
Cosa vuol dire? «Ecco ci troviamo a mille metri sul livello del mare, in territori come questi le regole agronomiche sono molto diverse che in collina o sulla costa, richiedono attività che generano un equilibrio, molto fragile da mantenere, che deriva dall'interazione tra l'ambiente e la natura, l'ecosistema e la biodiversità».
Ovviamente stiamo parlando di una agricoltura responsabile alla quale noi ci ispiriamo da sempre, lavorando totalmete in biologico. La viticoltura in montagna è influenzata principalmente dalle temperature: le uve maturano in modo più lento, spesso tardivo.
Ma quando dice noi chi? «Noi la nostra famiglia ovviamente, perché davvero lo siamo, esclusi gli operai che si avvicendano, mio figlio Alessio che è la terza generazione con me segue le fasi della produzione, mio cognato Franco l'enologo unisce la sua esperienza decennale al lavoro sulle uve.
E poi mia moglie Maria che solo apparentemente sembra non fare parte del processo ma la sua figura per me è fondamentale, così come tutte le mogli del Sud ha quello spirito risolutivo al quale affidarsi, a cui chiedere consigli e lasciarsi guidare.
Abbiamo conosciuto anche Lei, la sua ospitalità, il suo sorriso...e scoperto un aneddoto che la riguarda: pur non avendo grande dimestichezza con l'inglese è riuscita ad intrattenere un gruppo di americane spiegando una ricetta regionale a gesti, aiutata dal suo incredibile sorriso empatico!
E non mancano i nipoti che affinano le loro conoscenze e collaborano direttamente in cantina. Tornando all'argomento, ci facciamo raccontare in cosa consiste questo "eroismo".
«Si tratta delle condizioni di difficoltà in sostanza, ovvero, l'altitudine e le esposizioni, la particolarità morfologica e quella microclimatica del territorio che se da un lato rappresentano un ostacolo, dall'altro si possono trasformare in elementi ottimali per la coltivazione della vite.
In questo caso qui le abbiamo praticamente tutte e questo comporta uno svantaggio iniziale, a parità di estensione una minore resa delle uve, sotto il profilo produttivo estremamente "rischioso" ma per il risultato qualitativo arriva a soglie di vera eccellenza».
Per inciso si pratica in zone impervie prevalentemente di montagna e difficili da gestire, ma capaci di regalare vini eccellenti detti appunto "vini eroici".
Inizialmente ci si riferiva a luoghi come le Cinque Terre o la Valtellina, ma il CERVIM - il Centro di Ricerche, Studi e Valorizzazione per la Viticoltura Montana - ha ridefinito l'elenco delle caratteristiche del vigneto eroico: 30% di pendenza; altitudine superiore ai 500 metri sul livello del mare; coltivazione su gradoni o terrazze; crescita su piccole isole. Ma se è così difficile allora perché farlo?
Perché affrontare il rischio con così poco margine di resa e di produzione?
«Per passione innanzitutto! Tutto quello che faccio qui nei mesi che trascorro da aprile a ottobre, da quando le attività in vigna riprendono in primavera fino alla conclusione della vendemmia in autunno, sono praticamente animate da passione, alimentata dal ricordo di mio padre, dall'attaccamento alle mie radici e alle tradizioni di famiglia.
Nel mio vino c'è tutto questo. Se dovessi dare un esclusivo valore economico non credo che ne varrebbe la pena, al di là delle economie di cui l'azienda ha bisogno e del suo guadagno, le difficoltà e il confronto in un mondo come quello del vino non sono facilmente approcciabili.
Noi facciamo parte delle nicchie dei piccoli produttori d'eccellenza e tali resteremo, il nostro lavoro ci regala profonde emozioni, ci permette di curare il territorio e di contribuire in qualche modo alla sua economia offrendo posti di lavoro.
È spiacevole pensare a questi luoghi e al loro spopolamento, alla partenza di chi non trova futuro. Ci sono altri posti in Sicilia dove di pratica questa viticoltura? Assolutamente si: l'Etna e sulle isole, una su tutte Pantelleria dove davvero entriamo un mondo di eroici produttori».
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