PERSONAGGI
Una vita per Palermo: chi era "Il Professore" che improvvisava lezioni nelle osterie romane
"Il Professore" era ben voluto e conosciuto da tutti a Roma. Raccontava la sua vita, declamava le sue poesie, si cimentava in argomentazioni di storia, filosofia o letteratura
Giovanni, il "Professore di Palermo" insieme a "er Gattone", un biker romano
La fragilità dei nostri anziani è il grande dramma del Covid, da rimuovere a dispetto di quelli che affermano che coloro che muoiono sono pensionati improduttivi, un peso inutile e gravoso per la società, come se l’utilità fosse più importante dell’umanità.
Così, in questo nuovo periodo di crisi epidemica, ho ripensato al professore di Palermo, grande studioso, che viveva a Roma e che ho avuto il piacere di conoscere. Giovanni lo trovavi seduto con i gomiti appoggiati sul tavolo con il solito bicchiere di vino bianco, alla Fraschetta dove si recava quasi tutti i giorni, una specie di osteria diffusa a Roma.
Questo locale si trova da 54 anni a Testaccio, storico ed antico quartiere della Capitale e per molti è il porto sicuro dove rifugiarsi nei momenti di smarrimento, dove scaricare le tensioni, dove gioire ed a volte piangere. Sandro e Giancarlo, i proprietari, sanno essere discreti, ascoltano e senza enfasi aiutano chi è in difficoltà.
Interloquiva con persone di qualsiasi ceto sociale e bagaglio culturale, perché in questi luoghi l’importante è lo stare tutti assieme. Quando avevo modo di dialogare con lui i nostri ricordi confluivano sui trascorsi a Palermo, per noi un'amata perduta di cui restano solo rimpianti e nostalgia.
Pur avendo una certa differenza d’età (lui aveva oltre ottant’anni ma ancora buona memoria), facevamo a gara a chi si ricordava di più. Lui insisteva sul fatto di essere cresciuto nello stesso quartiere e di avere fatto le scuole con uno dei Mattarella e questo costituiva il suo punto d’onore, ma entrambi ricordavamo lontane amicizie comuni ed anche personaggi entrati nella memoria collettiva della città.
Una volta Daniele, un fedele cliente della fraschetta, gli disse: «Professore perché non spostiamo i tavoli e li mettiamo come banchi, ci mettiamo seduti e lei ci fa scuola?».
Lui alzava la mano, dondolandola, da vero siciliano che con un gesto sa dire tutto ma si vedeva che era contento, amava il sanguigno e sincero popolo testaccino. Tutti gli volevano bene, da Mario, ex comparsa di Cinecittà, al giocatore di basket “Jonhson”, a Marco con cui spesso condivideva le sue preoccupazioni, alla signora con vestaglia e pantofole che scendeva da casa per farsi un goccetto per digerire, a "er Gattone", un biker con capelli lunghi neri sulle spalle , orecchini, bracciali ed anelli con teschi con cui spesso scherzava (conservo con tenerezza una loro foto insieme), a tanti altri.
Il "professore" aveva modo di rilassarsi, di ricordare la sua vita passata ad insegnare al liceo, gli incarichi al comune di Roma e noi rispettavamo la sua grande cultura. Ma era una persona sola, sposato con una nota scienziata polacca che però, con l’avanzare dell’età, era diventata oscura e quasi minacciosa per lui, tanto che volentieri fuggiva dal suo appartamento per rifugiarsi in un luogo dove i presenti gli prestavano attenzione e considerazione.
Verso la fine del mese di febbraio di quest’anno, già triste per la scomparsa della moglie, portò un pacchetto contenente un’insalata di polpo comprata al mercato di Testaccio e mi invitò a mangiare con lui. Cominciammo così a celebrare gli splendidi prodotti di Palermo, dal polpo di Mondello ai cannoli di Caflish, alle stigghiole, al pane con la meuza alla Marina o alla caponatina, passione di entrambi.
Per lui Palermo era un ricordo lontano e nostalgico, il posto degli affetti sinceri, degli amici, della scuola e dell’università, del profumo dolce e speziato del cibo.
Ci salutammo, ignari che da lì a poco saremmo stati costretti in casa per quasi tre mesi. Un periodo terribile per il professore che improvvisamente rimase solo, disperato ed abbandonato ai suoi ricordi, senza nessuno con cui poterli condividere.
Il professore non ce l’ha fatta ed il 25 aprile, giorno della liberazione, ha deciso di liberarsi da questa vita; la mattina ha salutato Marco dicendogli “ Mi voglio liberare”, ha aspettato che il suo tutore andasse via e, nel pomeriggio, si è gettato dal balcone.
Sabato scorso sono tornata in fraschetteria con l’idea di ricordarlo; nessuno di noi era potuto andare al funerale e l’ho considerato un atto dovuto per lui e per tutti quelli che di nuovo si trovano soli, malati, impauriti. Ho chiesto un ricordo e tutti si sono messi a raccontare, ognuno con il proprio contributo, felici di immaginarlo ancora lì e di potergli dare quell’abbraccio mancato.
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