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Una donna gli fece "perdere" la testa: la vera storia del giardino (incantato) di Sciacca

Chista è la storia un castello incantato dintra a un giardino incantato. Un castello senza giullare, né re né principesse. Sulu teste… sulu e soltanto teste

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 20 luglio 2024

Un angolo del Castello Incantato di Sciacca, in Sicilia

Chista è la storia un castello incantato dintra a un giardino incantato. Un castello senza giullare, né re né principesse. Sulu teste… sulu e soltanto teste.

È il 17 giugno 1885, la nave Isère approda al porto di New York portando con sé dalla Francia la Statua della Libertà. È un regalo di gemellaggio tra i due paesi: si dice che la testa rappresenti il volto della madre dello scultore Bartholdi.

Si dice, ma forse è proprio accussì perché dentro ‘na scultura c’è sempre un amore, c’è sempre una donna.

Questo, Filippo Bentivegna non lo sa ancora, perché quel giorno ha poco più di un mese di vita e l’unica cosa che cerca è la minna di sua madre. Chi lo sa cosa pensava Fulippo a un mese. Forse pensava che, fra tutti i posti che c’erano al mondo, era andato a nascere proprio a Sciacca in una famiglia di pescatori, o forse non pensava proprio a niente.
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I giornali preannunciano tempi di pititto e malura, ma per fortuna Fulippo cresce analfabeta e non li può leggere. Impara solamente a farsi quattro conti, perché in una famiglia in cui sei il quarto di cinque figli devi farli per forza, e impara a leggere il mare per lo stesso motivo, poiché una volta fatti i conti sai che devi andare a fare il pescatore sin da picciriddo.

Otto mesi l’anno fame e speranza, poi, da giugno ad agosto, coralli per riempirsi la panza. Ma quanto può durare il corallo con la pesca a strascico che devasta i fondali?

Fulippo lo capisce subito: non è la pesca, è la vita che è a strascico, che strappa le esistenze da dove sono nate e le porta in altri posti contro volontà. È così che capita a suo fratello Pasquale, Nino e sua sorella Giuseppina, costretti a partire in America in cerca di fortuna.

«Fulì,» gli dice Pasquale «m’arraccomando: la testa… devi avere testa!».

E così Fulippo resta a Sciacca, come un corallo attaccato ad uno scoglio, a badare ai genitori e sua sorella minore Accursia. A vent’anni si arruola in Marina perché il corallo è finito e il travagghio invece non è mai iniziato. Quando è in mare pensa ai suoi fratelli e a questa ‘Merica, che non sa dove si trova, non sa dove cercarla con gli occhi.

Gli ritornano le parole di Pasquale «devi avere testa, Fulì!». Già, cinque anni di quel niente chiamato “Marina” sono troppi, quindi pensa che fra “testa” e “colpo di testa” cància solo una parola e decide di andarsene pure lui alla ‘Merica. A Boston ritrova l’altro pezzo di famiglia e la contentezza è assai.

Insieme a Pasquale e al cugino Giuseppe Fiorentino, conosciuto come “Piddu Rattiddu”, aprono una pescheria… in fondo, pesce maniava e pesce continuerà a maniare. E manii oggi, che manii domani, alla fine ti abitui ai palazzi, alla ‘Merica e ai ‘mericani.

Ti abitui a tutto, tranne a quella donna che un giorno ti attraversa la strada, ti regala un sorriso e ti fa perdere quella testa che ti avevano tanto raccomandato di tenere sulle spalle.

Forse sbaglia, Fulippo, ma scopre che, oltre a questa, esiste anche il cuore. Occhi neri, cappelli bruni: è la femmina più bella che abbia mai visto. A pensarla allo stesso modo un piccolo boss locale, che per fargli rimettere la testa a posto gliela fa spaccare da quattro sui picciotti.

Perde l’amore, chiude la pescheria e per il dolore se ne va a New York, dove trova lavoro come manovale, dato che Manhattan si messa in testa, pure lei, di abbellirsi con dei grattacieli che toccano le stelle. Magari è solo sfortuna o magari distrazione - perché dall’alto di quei palazzi forse cerca ancora la donna che gli ha rubato il cuore per sempre -, fatto sta che Fulippo ha brutto incidente sul lavoro e viene costretto a mesi di ospedale.

Il referto è crudele più della pesca a strascico della sua giovinezza: "inabile al lavoro", c’è scritto. Non gli resta che tornarsene con la pensione da dove è venuto, in Sicilia.

È il 1919 e ad aspettarlo, oltre ai parenti, pure il Tribunale militare di Taranto, che gli notifica tre anni di reclusione per diserzione alla guerra del 15-18.

Malo combinato com’è il carcere non può farlo, perciò compra un pezzo di terreno ai piedi del monte Kronio e si rinchiude nella sua Sciacca. Una vita a sentirsi dire di “avere testa”, ma nessuno a spiegargli che questa si riempie, come una valigia, di cose belle e cose brutte, che ci si porta appresso ovunque si vada per tutta la vita.

È in quel pezzo di terreno, in quella contrada Sant’Antonio, che Fulippo decide di svuotare questa valigia e scolpire la sua prima testa sulla pietra.

Da quel preciso istante la sua esistenza riprende senso. Una testa oggi, una testa domani, passano gli anni, le teste diventano migliaia e il semplice pezzo di terreno si trasforma nel suo regno, nel suo castello incantato, dove lui è il re: re Fulippo di li testi. A tenergli compagnia Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, i suoi tre cani.

Sono loro, abbaiando, a dirgli chi vale la pena fare entrare e chi è meglio lasciare fuori. Muore suo padre, muore sua madre, Fulippo continua a mangiarsi il dolore a colpi di scalpello.

Scolpisce su tutto: pietre, tronchi, dentro le caverne (da cui ricava proprio la pietra) e intanto si stima abbia creato 7000 sculture, di cui molte andranno perse. Colpo dopo colpo, ogni tanto ripensa al passato.

Suo fratello Pasquale aveva sbagliato tutto: non bisognava avere testa e basta, ma cercare il cuore dentro la testa. Ecco, era dentro quelle teste che Fulippo, infatti, cercava il suo, quel cuore malconcio che era rimasto alla ‘Merica, chiuso dentro quegli occhi neri, legato da quei capelli bruni. Fulippo morirà all’età di 82 anni, serenamente, accudito da sua sorella Accursia.

Di lui resta il suo giardino incantato, sempre sotto quel Monte Kronio, o Monte San Calogero, e le tremila teste che, sarebbe bello pensarlo, guardano tutte in alto verso Fulippo Bentivegna.

Infine, ci sarebbero delle esposizioni a Losanna, a Parigi, a Sidney, a Stoccolma, ma questa è un’altra storia e chi ha testa se la va a cercare.
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