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Un santuario (siciliano) incastonato dentro la roccia: tra i riti e le leggende di Papardura

Uno scrigno di bellezza e spiritualità. Proteso su un costone, affacciato sull'entroterra siciliano, la sua storia è avvolta nelle leggende ancestrali rurali

Giovanna Gebbia
Esperta di turismo relazionale
  • 10 marzo 2024

Il Santuario di Papardura (Enna), foto Arangio

In Sicilia esiste un tesoro incastonato dentro una roccia a strapiombo su un panorama mozzafiato.

Proteso su un costone, affacciato sull'entroterra siciliano, la sua storia è avvolta nelle leggende ancestrali rurali.

Siamo sul balcone dell'entroterra di Enna la città più alta della Sicilia con i suoi 948 m s.l.m., abitata dai Siculi, chiamata Castrum Hennae nel medioevo e ancora prima dagli arabi “Qaṣr Yānī “.

Qui si custodisce inaspettatamente un patrimonio di tesori d'arte preziosi opera di famosi maestri barocchi.

È il Santuario di Papardura, un toponimo che già nel nome trova la sua prima curiosità: gli arabi la chiamarono così dall'origine etimologica "Papar-dura" per indicare la roccia dall'acqua sgorgante, dovuta ad una abbondante presenza di acqua, quindi acqua sorgente dalla roccia.

Due le storie legate al mito di questo luogo: una sulla sua costruzione e l'altra sui pani votivi dette cuddure, oltre alla storia d’arte legata al patrimonio preziosissimo del suo interno.
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È qui che si conserva un tesoro decorativo del barocco che lascia senza parole che sorprende subito entrando dall’ingresso che si apre su una facciata scarna e lineare, dove campeggiano solo il portale decorato e una finestra opercolo circolare che da luce alla unica navata dell’oratorio.

Sopra le teste gli occhi vengono attratti dal bellissimo soffitto ligneo intarsiato che lascia stupiti per la magnifica fattura, sotto si viene letteralmente circondati dagli stucchi candidi alle pareti da cui emergono sulle mensole le dodici statue degli Apostoli.

Le tele e gli affreschi sono della mano del pittore fiammingo Borremans che qui ha lasciato un segno indelebile del suo passaggio in Sicilia, mentre gli stucchi del '600 sono riconoscibili in quella scuola di Giacomo Serpotta che ha decorato alcuni dei più belli siti sacri diventati famosi in tutto il mondo.

L'abside in fondo armonizza tutto il contesto come una chiusura con il suo altare decorato, gli smalti rosso e oro della teca che racchiude la pietra simulacro del Santuario.

Un luogo che parla di spirito ma anche di memoria: intatti e bellissimi i lavatoi in pietra lavica che si trovano sotto il santuario che rappresentano la testimonianza viva del luogo consacrato dall’acqua, il posto dove le donne andavano a lavare i panni rappresentando uno dei momenti più emblematici della vita popolare e agreste, un retaggio sociale che rappresentava la comunità.

Tornando alla storia, la prima leggenda narra gli antichi abitanti indigeni contadini e pastori del primo millennio, che si riunivano all’interno delle grotte sotto la rocca, per pregare le divinità illuminandole con le lanterne ad olio accese in segno di devozione.

Nel 1600 alcune donne sognarono il luogo in cui si trovava l'antro che conteneva l'effige miracolosa della crocifissione, fatta dipingere da Angelo Lo Furco, della quale si erano perse le tracce.

Individuato il luogo nella parte più alta della sorgente, si iniziarono i lavori per la rimozione delle pietre e la grotta riapparve con l'immagine sulla roccia ancora intatta, che divenne meta di fedeli da tutta la Sicilia e sede di presunti miracoli, fino a quando gli venne costruita intorno la chiesa sul costone dove fu eretto un ponte per sostenere l’edificazione di un luogo di culto diventato tappa di pellegrinaggio.

L'altra storia ha a che fare con il folklore misto alla fede e si trasforma in elemento tradizionale gastronomico: si racconta che a causa di una annata di scarse piogge e forte freddo i raccolti furono davvero esigui portando un terribile evento di carestia.

Per questo motivo si svolse una processione penitenziale nella quale i fedeli camminarono a piedi scalzi fino al Santuario con una corda al collo, in segno di penitenza e richiesta di grazia.

I procuratori, custodi del Santuario, fecero preparare dei piccoli pani biscottati e benedetti a forma di croce greca dette cudduredde costituite da impasto di pane azzimo, che vennero distribuite a tutto il popolo per rimediare alla carestia.

In quell'anno sembra che la terra si risvegliò e rimediò alla siccità con un raccolto talmente abbondante che di grano si riempirono tutti i magazzini, sia dei contadini che delle confraternite.

Le cudduredde sancirono una tradizione ancora oggi viva, una storia di devozione che da allora viene praticata nella festa del Crocifisso come atto di ringraziamento e di fede.

Tutti i venerdì di marzo al Santuario si svolge ‘u viaggiu’ dei fedeli, un rito di pellegrinaggio che consente di vivere l'atmosfera ancestrale del luogo, oltre che visitarlo.

Il 14 settembre si celebra la Solennizzazione della Esaltazione della Croce, organizzata dai “Procuratori” - i custodi storici del Santuario - che ancora oggi si svolge con tutti gli antichi segni della fede, acclamata dalla una grande devozione popolare dei fedeli.

Il Santuario oggi è sotto la giurisdizione della parrocchia Mater Ecclesiae, ed è ancora amministrato da una deputazione di procuratori detta dei “Massari”.

Visitare il Santuario di Papardura, che è a breve distanza dal centro di Enna, è una buona occasione per conoscere e visitare anche altri "tesori" vicini: la Torre Ottagonale della la Torre di Federico II, il Castello di Lombardia e la Chiesa dello Spirito Santo.
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