STORIE
Un palermitano alla corte dei Savoia: chi è Vittorio Lo Jacono, il "nomade sognatore"
Oltre a occuparsi di viaggi ha ricoperto diversi incarichi e scritto diversi libri sulla Casata, ricevendo un riconoscimento direttamente da Vittorio Emanuele IV
Vittorio Lo Jacono con Emanuele Filiberto di Savoia
Alcuni sono aristocratici, altri borghesi, altri figli del popolo. Ognuno di loro: artista, poeta, eremita, principe, bibliofilo, custode di tesori, scrittore, è un nuovo capitolo di questo libro senza fine.
Se la forma è sostanza, e in Sicilia lo è sempre, un baciamano con le labbra che illusoriamente sfiorano il dorso della mano, un gentile e impercettibile inchino con la testa reclinata, diventa il biglietto da visita di un nuovo personaggio: Vittorio Lo Jacono.
Una cioccolata al bar della Palermo elegante diventa così la scenografia ideale per iniziare una conversazione. Lo Jacono ha una serie di onorificenze e premi per il contributo dato all’Isola attraverso la sua scrittura. Funzionario della Regione Sicilia, ha ricoperto diversi incarichi, ma la definizione però che più gli calza è "Nomade Sognatore".
Da qui a Mistretta dove abitava nell’ultima casa del Comune, lontano da tutto e tutti, dove sperimentò cosa voleva dire essere soli, condizione che l’ha temprato per quella che sarà la sua passione da adulto. Il desiderio di conoscere luoghi e persone, lo convinse a frequentare il Collegio Redentorista della Madonna delle Grazie di Castroreale, con l’idea di diventare Missionario.
Arrivato però al pronunciamento dei voti, si rese conto che la Castità, Obbedienza e Povertà non erano per lui, la sua vocazione era indirizzata alla conoscenza di popoli, culture, etnie diverse. Durante la conversazione mi mostra delle foto in alcune è con Emanuele Filiberto di Savoia durante la presentazione del suo libro sulla storia del Marsala.
Dietro queste foto, racconta, c’è una dedizione iniziata da ragazzo verso la Casa Reale. Gli dico che mi sarei aspettata un fautore della casata dei Borbone, un novello Vicerè, ma non è così. Vittorio è un "Savoiardo" convinto che ha scritto diversi libri sulla Casata, ricevendo all’estero, direttamente da Vittorio Emanuele IV, il titolo di Cavaliere dell’Ordine al Merito Civile di Savoia.
Se la vanità è un vizio quella di Vittorio Lo Jacono è così impercettibile e graziosa che non arreca alcun fastidio. Tralasciando questo discorso, dirige la conversazione verso il suo amore più grande: il viaggio. Piacere che lo rende particolare rispetto al tipico Siciliano, sedentario per natura e scelta, restio a spostare le sue invisibili radici da questa terra.
I suoi viaggi iniziati nel 1979, prima con la famiglia, e poi dal 1981 da solo hanno attraversato il mondo, e sono stati raccontati in un libro Io e il Mondo. Gli chiedo come organizzava il viaggio, mi risponde che prima si documentava, poi preparava un bagaglio essenziale: un cambio, un notes (agli inizi il magico elettrodomestico che domina le nostre vite ancora non c’era), penne, matite, gomma, macchina fotografica e cinepresa.
Il suo sguardo diventa sognate quando racconta sue avventure, iniziando da Taiwan, dove chiuse degli accordi in qualità di Delegato per la Sicilia dell’Associazione per l’Amicizia e le Relazioni Culturali con la Repubblica della Cina. Iniziativa che causò la protesta formale della Cina Nazionalista, alla Farnesina. In questi viaggi "Cinesi", ebbe modo conoscere e vivere varie esperienze, anche culinarie, come quando assaggiò la carne e il sangue di serpente.
Da viaggiatore e non da turista ha sempre cercato di condividere tutto dal cibo, all’abitazione, alla cultura, dei luoghi visitati. Ricorda che in Perù, sul lago Titicaca, mentre stava gustando un pesce gatto condito con coriandolo, fu costretto a lasciare il luogo precipitosamente per andare a Cuzco, perché colpito dal "mal di montagna".
Lì, un’altitudine di 1100 metri più bassa, trascorse un periodo di adattamento immergendosi nella vita peruviana, andando ad esempio a dissodare dei terreni con alcune contadine. Qui un giorno mentre lavorava, vide sparire le donne, la radio locale aveva annunciato, in lingua quechua, che da lì a poco ci sarebbe stata un’eclissi solare, presagio considerato funesto per gli Indios.
Frequentando le loro abitazioni fu invitato ad assaggiare un porcellino d’india, servito intero, appoggiato su un piatto con tanto di zampette rattrappite. Lo guardo stupita, mi dice sorridendo: "era buonissimo". Ma tra tutti gli incontri quello più incredibile fu con il Subcomandante del Movimento Zapatista, Marcos.
Dopo lunghe trattative e intermediari, attraversando checkpoint ufficiali e non ufficiali, in compagnia di Monsignor Ruiz sostenitore della dignità, giustizia e libertà degli Indios, ebbe modo di parlare con l’affascinante guerrigliero. Vedo Marcos in foto con cappello, passamontagna e pipa.
L'incontro che sarebbe dovuto durare un quarto d’ora, andò parecchio oltre in quella piccola radura nella giungla. Lo Jacono è stato paragonato a un Pitrè studioso di tradizioni e culture, o un novello Goethe. I suoi resoconti però non sono guide, ma un’emozionante testimonianza di un Siciliano attento e curioso. Gli chiedo da dove ha tratto questo spirito, mi risponde «sarà stata l’aria del Continente che si respira a Messina», un modo di essere che gli ha consentito di rendere buona parte della sua vita, un meraviglioso Grand Tour.
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