ITINERARI E LUOGHI
Un monumento architettonico nel degrado urbano del Cep: la chiesa di San Giovanni Apostolo
L'edificio realizzato dall’architetto palermitano Spatrisano è uno dei punti notevoli della parte occidentale della VI circoscrizione. Purtroppo qui, a dispetto degli spazi notevoli, manca praticamente tutto
La chiesa di San Giovanni Apostolo a Palermo
È questo un frammento breve ma incisivo della descrizione che l’architetto palermitano Giuseppe Spatrisano fa del proprio progetto per la Chiesa che il Cardinale Ruffini gli commissiona già nel 1965 e che, dopo complesse vicende di gestazione, tra modifiche e continue nuove sollecitazioni, verrà ad essere completata in due fasi tra il 1978 e il 1986.
L'edificio, con la sua monumentale presenza architettonica, memore della storia degli stili tanto cara al suo progettista, rappresenta uno dei punti notevoli della parte occidentale della sesta circoscrizione, realizzata all'interno del popoloso quartiere residenziale del Cep, oggi San Giovanni Apostolo, contraddistinto da una buona edilizia economica e popolare, frutto di programmi sovvenzionati Iacp.
La chiesa di Spatrisano, con le sue volumetrie e il suo chiaro skyline si inserisce in questo contesto interessato recentemente anche dalla prospiciente fermata della linea periferica tramviaria. Ma se la presenza scenica della costruzione è già di per sé evidenza di un personalissimo linguaggio architettonico, funzione stessa della cifra stilistica del suo ideatore, è l'interno il vero protagonista dello spazio.
Una pianta centrale con pochi impedimenti visivi strutturali e ampio deambulatorio, memore delle costruzioni tardoantiche ravennati, il cui senso di unidirezionalità verticalista amplifica il ruolo spirituale dello spazio sacro così raccolto per la preghiera.
A metà tra istanze estetiche e funzionali, polarità urbane tese a caratterizzare lo spazio pubblico attraverso un linguaggio formale in accordo con la storia, questo raccolto edificio, oggi vero e proprio fulcro sociale per la comunità dei credenti e dei residenti, rappresenta un interessante caso studio relativo al potere curativo della buona architettura e del “progetto di architettura” ormai mera chimera nella città abbandonata dalla politica quando essa non sia in aperta campagna elettorale.
Meriterebbe altresì maggiore rispetto e risorse; sicuramente un piano particolareggiato di rigenerazione degli spazi urbani attraverso un masterplan che ne individui le necessità ragionate degli utenti del quartiere mediante una seria partecipazione condivisa su tavoli tematici (sicurezza, gioco, mobilità, sport, spazi museali, orti urbani, biblioteche e spazi sociali, ecc..), per poi appaltare la definizione formale degli interventi a seri e aperti concorsi di architettura senza limitazioni partecipative per i progettisti (in base all'età e al fatturato), anzi incentivandone la partecipazione ai neolaureati perché servono energie “nuove”.
Ma per un'azione così coraggiosa e determinata a creare reale valore socioculturale, servono politici migliori. Migliori di quanto ultimamente ci si ritrova ad osservare su manifesti dai finti sorrisi e tra i brutti “santini” elettorali.
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