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Un labirinto di pietra (oscuro) sulla costa in Sicilia: perché si chiama "‘a rutta e ciavuli"

Qui vive un'antica leggenda e l’avvertimento è sempre quello di pensarci a lungo (e magari desistere) prima di avventurarsi in questa cavità abitata dalle "ciaule"

Francesca Garofalo
Giornalista pubblicista e copywriter
  • 22 novembre 2023

"A rutta e ciavuli" in Sicilia

Un varco oscuro in pietra, circondato dal mare luminoso, che invece di accogliere inghiotte all’interno di un percorso lunghissimo: ‘a rutta e ciavuli.

Parliamo di un tratto di costa con tre grotte sul mare antistante il Porto piccolo di Siracusa, davanti alla Riviera Dionisio il Grande e poco lontano dal Monumento ai caduti d’Africa; una zona chiamata dai siracusani via dell’Arsenale.

Il termine "ciavuli" attribuito alle cave in pietra arenaria, si riferisce alle ciaule (taccole, cornacchie o caccarazze) che sorvolano le tre aperture specchiate sul mare limpido e dalle sfumature azzurre-verdi nei giorni di calma e blu scuro in quelli di tempesta.

In particolare c'è una di queste cavità, quella centrale, nota per la sua estensione tanto da pensare a una possibile fusione alle catacombe di Santa Lucia, San Giovanni, Vigna Cassia e del Casale e da sollevare anche l’ipotesi del suo arrivo fino a Catania.

Inoltre, si pensa che al suo interno, trovarono rifugio i primi cristiani, perseguitati dai Romani, che percorrendola trovarono la salvezza nello sbocco sul mare.
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Ma ciò che desta particolare soggezione è l’antica leggenda su questa grotta, con protagonista una scolaresca. Era un ordinario giorno di scuola, anzi di gita; quelle che mettono di buonumore in primis perché si caliano le interrogazioni e perché si va alla scoperta del nuovo con i propri occhi.

Conscio dell’importante insegnamento empirico, un maestro osa sfidare l’ignoto di quella cava in pietra quasi come un Teseo coraggioso con la sua Arianna.

I piccoli studenti che non immaginavano sarebbe stato di vitale importanza avere con sé un gomitolo da srotolare o, per dirla alla maniera fiabesca, delle briciole di pane.

Questo perché una volta entrati nel lungo, la scolaresca e il maestro, scomparvero nel nulla. Un'esperienza senza ritorno, i cui dettagli non saranno mai riportati alla luce del sole.

Incoscienza o eccessivo spirito di avventura; come li si voglia chiamare, questa leggenda continua a vagare per la sua assurdità nella dimensione temporale.

E chi, in passato, era abbastanza coraggioso da avventurarsi all’interno della grotta, memore del racconto, portava sempre con sé le fidate lampadine tascabili oppure un gomitolo di spago.

I soli espedienti per uscire da quel labirinto di pietra. Anche se alcuni tratti della grotta, sopravvissuti alle frane, pare custodiscano diversi lucernari o prese d’aria.

Ma l’avvertimento è sempre quello di pensarci a lungo e magari desistere prima di avventurarsi in questa cavità oscura abitata dalle ciaule, considerate fantasmi e diavoli dai Siracusani "singers", cioè i Cantori di Siracusa.

Come citato in alcuni dei loro versi: ’A ’rutta ‘e’ ciauli è ’a ’rutta di li diavuli. È tantu bedda attornu, ma si ci trasi, appoi, tu sciri chiù nun puoi e arrivi ’rittu o’ ’nfernu!” [...] “ Pirciò nun ti fidari, nom nun t’arrisicari di tràsiri p’’a visitari si ’a fini nun vo’ fari ’i chi ci vosi jiri e chiù nun potti arriturnari!”* E se proprio non si può stare lontano dal fascino di questa cava, l’invito è quello di godere dello spettacolo da un'altra angolazione, dove non si passano guai.

*Fonte: Antonio Randazzo, dal libretto “Tra realtà e leggenda” di Arturo Messina
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