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Un (illustre) avvocato salvò i siciliani da furti e omicidi: come Cicerone "inchiodò" Verre

Non tutti sanno che fu chiamato a lavorare sul caso dagli stessi siciliani, quando si trovarono a soffrire enormemente per la corruzione del loro amministratore

Aurelio Sanguinetti
Esperto di scienze naturali
  • 21 aprile 2024

Il processo di Cicerone contro il magistrato Verre

Cicerone è stato uno dei personaggi storici più importanti della storia occidentale ed uno degli ultimi volti della Repubblica romana che cercò di rallentare il processo di declino e corruzione del Senato, che portò poi all’ascesa di Cesare e alla nascita dell’Impero.

Non tutti però sanno che prima di diventare uno dei più illustri senatori dell’Urbe, Cicerone svolse per anni il lavoro di avvocato, risultando fra l’altro anche fra quelli più richiesti e apprezzati per la sua arte oratoria.

Fu così che Cicerone si trovò a difendere diverse tipologie di clienti, da suoi vecchi colleghi senatori e importanti cittadini, accusati di adulterio, ma fra i processi a cui partecipò personalmente forse uno dei più famosi fu quello intentato contro Gaio Licinio Verre, dal 73 a.C. propretore della provincia della Sicilia.

Cicerone fu chiamato a lavorare su questo caso dagli stessi siciliani, che nel corso di pochi anni si trovarono a soffrire enormemente per colpa della corruzione promossa dal loro nuovo amministratore, che governò in maniera sadica il suo territorio. La ragione per cui i siciliani decisero di contattare Cicerone e non qualsiasi altro avvocato – anche più famoso – dell’Urbe era abbastanza semplice.
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L’oratore latino aveva lavorato per alcuni anni come amministratore nell’antica città di Lilibeo, oggi Marsala, dimostrandosi particolarmente bravo nello svolgere i propri incarichi.

Per quanto questo lavoro fosse di poco conto e fosse necessario al giovane Cicerone per iniziare al meglio il suo cursus honorum, entrò immediatamente nelle grazie dei cittadini di Lilibeo, che si ricordarono di lui al momento delle difficoltà.

Dopo 3 anni di soprusi, violenze, furti, omicidi, sequestri, scandali politici e l'annientamento quasi completo del corpus amministrativo dell’Isola, i siciliani quindi inviarono una lettera a Cicerone, che colse l’occasione al balzo per dimostrare le sue qualità di avvocato e di uomo dello stato.

Sbarcato nuovamente nel 70 a.C. in Sicilia, Cicerone prima svolse una indagine indipendente, ascoltando le testimonianze dei soprusi in varie città, per poi accusare pubblicamente Verre di aver dilapidato la Sicilia e corrotto i suoi funzionari, per arricchirsi.

Per la prima volta nella storia di Roma, la giurisprudenza dovette affrontare un caso di corruzione e seppur all’epoca il ruolo dell’avvocato dell’accusa veniva considerato inferiore rispetto a quello della difesa, Cicerone dimostrò più volte di avere maggiori qualità oratorie e di saper rispondere a qualsiasi tentativo di insabbiamento da parte di Verre e del suo avvocato, il più grande "principe del foro" di quei tempi, Quinto Ortensio Ortalo.

Cicerone inchiodò in ogni modo il propretore, raccogliendo per esempio testimonianze di come avesse trafugato dalla cappella privata di Elio, un nobile mamertino, un Cupido di marmo di Prassitele, un Ercole di Mirone e due statue sacre, “le Canephore”.

Raccolse anche diverse testimonianze di come Verre avesse l’abitudine di promettere ai suoi sgherri di poter attuare violenza nei confronti delle giovani dei villaggi siciliani, come ricompensa per aver svolto i furti e i sequestri.

Cicerone chiese così un risarcimento di cento milioni di sesterzi, che al momento della condanna di Verre sarebbe stati ridotti prima a 40 e poi solo a 3 milioni.

Da lì in poi le amministrazioni romane dell’isola sarebbero state più "attente" nel non permettere più violenze, con grande sollievo dei siciliani, mentre Verre si allontanò da Roma scegliendo volontariamente un esilio a Marsiglia, per sfuggire dai sicari dei suoi ex alleati, che volevano punirlo per aver agito in maniera così plateale da indurre l’opinione pubblica nello scoprire i loro traffici.
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