STORIA E TRADIZIONI
Un furto (clamoroso) che pochi conoscono: i mosaici trafugati in uno scrigno di Palermo
Il furto dei preziosi angeli e santi bizantini avvenne con la complicità ed il silenzio di chi era avrebbe dovuto controllare la sicurezza del quartiere generale americano
Cappella Palatina
La Cappella Palatina è un piccolo scrigno di bellezza, un capolavoro unico nel suo genere e si trova all’interno del palazzo dei normanni; fu costruita per volere di Ruggero II, come cappella privata della famiglia reale, e venne consacrata nel 1143: così attesta la data riportata nell’iscrizione musiva della cupola.
Il transetto, le absidi e la cupola sono interamente decorate nella parte superiore da mosaici. Lo schema iconografico generale è quello delle chiese bizantine, anche se alcuni dettagli furono voluti dai regi committenti, con chiari intenti propagandistici, legati alle ambizioni politiche di re Ruggero.
"Purtroppo i profondi restauri e i rifacimenti specialmente nelle absidi e nella parete del santuario hanno compromesso l’integrità e l’intelligenza del testo. Tuttavia il senso generale delle figurazioni può essere colto - scriveva Giuseppe Bellafiore, nella sua Guida della città -. Vi si esprime la forza della chiesa cristiana, lo stato imperiale di Cristo e il gerarchico sistema politico e religioso nel quale viveva l’uomo del tempo".
Racconta Rosario La Duca ne "La città passeggiata" che fu l’architetto Mario Guiotto a rendere di pubblico dominio il furto, quando descrisse in una relazione tecnica gli interventi di restauro effettuati nel dopoguerra, perchè la cappella, colpita da una bomba il 30 giugno del 1943, restava infatti secondo lo storico dell’arte Cesare Brandi “salva per miracolo”.
L'episodio criminoso risale ai mesi dell'occupazione alleata nell'isola. Poco dopo le 19.00 del 22 luglio, al Palazzo Reale, era stata sottoscritta la resa. Il generale George G. Patton, era giunto a Palermo un'ora dopo e aveva fatto il suo trionfale ingresso in città.
Era giunto su una jeep Dodge in compagnia del maggior generale Truscott, comandante di una delle divisioni della VII Armata. Aveva passato in rassegna le truppe sotto gli occhi dei pochi palermitani rimasti in città (tenuti a debita distanza dai manganelli della polizia militare), induriti da tre anni di fame, sofferenza e morte.
Patton aveva poi varcato la soglia del Palazzo dei re normanni, dove aveva deciso di stabilire il suo quartiere generale.
Qui il “Re di Sicilia” (come era stato subito soprannominato Patton) riceveva con la boria dei vincitori e i modi di un sovrano chi andava a tributargli i dovuti onori: dal cardinale di Palermo, al generale Montgomery, a tutte quelle autorità civili e militari che in quei mesi giungevano a Palermo, prima città d'Europa liberata dal nazi-fascismo.
La spoliazione dei mosaici avvenne proprio durante l'occupazione del Palazzo da parte di Patton e come abbiamo detto venne resa nota quasi casualmente dal Sovrintendente ai Beni Culturali Mario Guiotto.
L’architetto Guiotto, in una relazione tecnica elencava i lavori di restauro compiuti nell’edificio e precisava che dalla Cappella Palatina erano stati asportati i mosaici raffiguranti "le teste aureolate dei due angeli sulla fronte verso la nave dell'arco di trionfo e dei Santi Niceta ed Oreste nel primo e terzo medaglione del semi-intradosso Sud dell'arco stesso".
Scriveva ancora Rosario La Duca "dati i tempi e le circostanze, non si fecero allora approfondite indagini sulla scomparsa ed il Guiotto si limitò a dire: -non possiamo qui tacere il fatto increscioso che, durante il periodo di occupazione delle truppe
americane, ignoti entrarono nel ricovero forzando le porte".
Il furto dei preziosi angeli e santi bizantini avvenne con la complicità ed il silenzio di chi era avrebbe dovuto controllare la sicurezza del quartiere generale americano, la "Military Police" ed gli stessi soldati ed ufficiali di Patton.
Lucio Maria Attinelli in "Una stagione a Palermo" (2002) affermava: "Fin dal primo giorno, con quel saggio dosaggio di autorità e bonomia che lo caratterizzava…il Generale aveva saputo regnare con un pugno di acciaio sul piccolo mondo del Palazzo Reale, così propenso a tanti privilegi... tali erano il fascino e la popolarità del Generale che nessuno osò mai protestare. Sicurezza oblige. Inutile insistere, si diceva, i suoi ordini, come le sue decisioni, erano senza appello".
Del resto i mosaici non furono l’unico souvenir che gli americani si portarono via: si appropriarono di un ritratto del Duce, parte integrante prima dell’arredo del Palazzo delle Poste Centrali di Palermo e in seguito del Palazzo dei Normanni: da qui, il generale Patton dispose che fosse inviato negli Stati Uniti.
Il ritratto di Mussolini probabilmente costituiva per Patton una sorta di trofeo di guerra. Ritraeva Benito con la testa ancora ricoperta da una velata capigliatura e un viso giovanile ed era stato eseguito dall’artista Leo Castro, massimo esponente del verismo poetico nel secondo dopoguerra.
Rodo Santoro è riuscito a stabilire che la data del trasferimento in America fu quella del 27 luglio 1943, quando Mussolini era ormai prigioniero del nuovo governo italiano, che non aveva ancora firmato l’armistizio con gli Alleati.
Dopo la sconvolgente constatazione del furto, il sovrintendente Guiotto dispose il ripristino dei mosaici trafugati con nuovi pezzi, rifacimenti tratti da fotografie e stampe, fissati su lastre di ardesia.
Purtroppo niente è mai stato fatto invece per approfondire la responsabilità del reato ma restano ancora molto valide le conclusioni sulla triste vicenda di Rosario La Duca, nel caso qualcuno decidesse di indagare.
"Forse gli ignoti, ma non troppo, avranno venduto questi pezzi di mosaico in Italia o in qualche altra nazione europea, ma è più probabile che angeli e santi della Cappella Palatina abbiano spiccato il volo verso qualche ospitale villa di qualche magnate americano".
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