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Un fantasma "rumoroso" vaga fra le mura del Palazzo dei Nobili Bianchi di Adrano

A dar notizia del fantasma, in tempi recenti, sono state alcune vigilesse, che hanno sentito rumori sinistri, uno scrosciare lugubre di catene, e il trambusto confuso del personale

  • 14 dicembre 2020

Palazzo dei Nobili Bianchi ad Adrano

Il vulcano e le arance. È un’immagine squisitamente siciliana, uno schizzo acquerellato fra scale di grigi e cromatismi vividi e sanguigni corollati di un verde intenso. Una simile idea della natura è possibile trovarla in qualche angolo di campagna nei pressi di Adrano, il bellissimo comune etneo famoso per le sue arance rosse e per il pregiato pistacchio.

Racchiuso entro il perimetro del suo abitato moderno – insignificante e disordinato come lo è stato il funzionalismo d’accatto dell’abusivismo edilizio in Sicilia -, il centro storico è molto simile per caratteristiche a una qasba per la presenza di numerose strade e di vicoli, e di pochissime piazze, cui prevale come uno dei suoi simboli il Castello Normanno, una torre eretta sotto il Conte Ruggero I di Sicilia nell’XI secolo, oggi sede del Museo archeologico regionale “Saro Franco” che ospita all’interno anche la Galleria d’Arte Contemporanea, una Pinacoteca, l’Archivio Storico e pregiate collezioni etnoantropologiche.
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Ma non è la sola fortezza di Adrano, perché appena fuori il paese si trova il Castello della Solicchiata, costruito intorno al 1875 - in pietra lavica, circondato da un fossato e accessibile tramite un ponte levatoio - per volere del barone Spitaleri che lo volle come edificio adibito a uso rurale, diventando presto noto per la produzione di un particolare vino.

Se un fantasma ci fosse, nella cittadina di Adrano, esso dovrebbe essere ubiquo fra i due castelli, comparendo nell’uno e nell’altro caso, ovvero prediligendo a dimora uno solamente dei due manieri. E in effetti la leggenda di un fantasma esiste, e ciò nondimeno per le sue apparizioni ha scelto un sito differente; storico anch’esso, e prestigioso, nel tessuto più antico del centro storico, fra le mura del Palazzo dei Nobili Bianchi.

Residenza di una nobile famiglia di cui non si conosce il cognome – secondo alcune fonti dei Ventimiglia, e poi dei Moncada – l’edificio risale alla seconda metà del XV secolo, e dopo la fondazione nel 1568 della locale Compagnia dei Bianchi, di cui facevano parte i maggiori esponenti della nobiltà cittadina, fu trasformato in ospedale, divenendo dopo l’Unità d’Italia sede
del Comune e poi solo della Biblioteca Comunale, e infine – dopo i lavori di ristrutturazione che ne hanno consentita la riapertura nel 2008 – ufficio di rappresentanza del Primo Cittadino.

L’edificio consta di due piani, con un portale in pietra lavica contenuto da due colonne monolitiche, e gli interni sono realizzati in maiolica con decorazioni alle pareti. A dar notizia del fantasma, in tempi recenti, sono state alcune vigilesse, proprio nell’androne in cui si trova la sede della Polizia Municipale: rumori sinistri, uno scrosciare lugubre di catene, e il trambusto confuso del personale.

Passata ai giornali, la notizia ha richiamato l’ipotesi di un qualche animale, ma dai controlli eseguiti non si è scovata traccia di nulla. E però i rumori hanno continuato a ripetersi nei giorni seguenti, uditi da altri impiegati, come il suono sordo di una catena di ferro rimorchiata da chi prova a divincolarsi.

Ecco il fantasma, l’ipostatizzazione della paura, il mito spettrale dell’evento non spiegabile, tradotto nell’idea di un uomo imprigionato nelle segrete del palazzo in un qualche secolo remoto. Di esso non c’è alcuna prova, se non le varie testimonianze del personale, ma è notizia certa che durante i lavori di restauro dell’immobile siano stati trovati i resti di decine di corpi, e dunque, che sia l’anima di uno di essi, incomodato nel suo lungo sonno, a far dispetti?

Fatto sta che qualche impiegato, non sciolto l’enigma, ha chiesto di essere destinato al servizio esterno, e il Sindaco –interrogato su quelle strane dicerie – ha diffuso un suo comunicato stampa, dedotto alla verosimiglianza, che con la compostezza tipica del linguaggio protocollare recita: “Nella stanza di Palazzo Bianchi destinata all’addetto stampa ogni tanto gli è capitato di sentire dei rumori. Stiamo controllando il soffitto, probabilmente sarà un topo”.

L’incredulità è corsa di pari passo al terrore, mentre a intervalli regolari lo strano rumore di catene tornava a palesarsi, oramai come un’abitudine affettuosa per quello spirito che aveva trovato la sua identità nominale come “il Fantasma di
Palazzo Bianch
i”, raccogliendo persino la pietà di qualche impiegato sulla povera sorte di quell’uomo imprigionato. Pare che chi non abbia mai creduto alla vicenda, protetto dall’attitudine civile al raziocinio, si sia ricreduto, testimoniando di quei frastuoni in sua stessa presenza.

Il clamore della vicenda, tuttavia, si spense in fretta, dacché il Sindaco – con l’autorevolezza del proprio ruolo e nel fastidio che quelle voci stavano procurando al quieto vivere di Adrano – impose il silenzio, come se nulla fosse.

Scelta ragionevole, ma nel dubbio accompagnata dopo alcuni mesi dal trasferimento dei suoi uffici presso altra sede, lasciando lì solamente la rappresentanza comunale. Tra il Castello Normanno e la Chiesa Madre, Palazzo Bianchi è ancora lì, sugli sfondi magnifici dell’Etna e di agrumeti fertili come cose vive.
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