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Un enigma nel cuore del centro storico di Palermo: storia di un patrimonio ritrovato

Il Museo Diocesano ha accolto la richiesta della Congregazione degli Agonizzanti, ricollocando il patrimonio artistico e culturale nelle loro sedi di origine

  • 23 aprile 2020

La consegna del dipinto alla Chiesa di Santa Maria degli Agonizzanti di Palermo

Sono passati ben 40 anni dalla consegna dei beni della Congregazione degli Agonizzanti al Museo Diocesano di Palermo. In quel periodo, sulla scia del furto della natività di Caravaggio, il patrimonio artistico e culturale delle Confraternite, Congregazioni e Compagnie di Palermo non era al sicuro e molte realtà, sia per precauzione che, anche, per preservarsi da eventuali “fastidi” civile e penali, decisero di riparare le loro opere all’interno del Museo Diocesano di Palermo.

Un magnifico tempio della memoria egregiamente diretta da Monsigor Giuseppe Randazzo e dal suo Vice Professor Francesco Palazzotto con la supervisione dell’Ufficio dei BB.CC. della Diocesi diretta da Padre Giuseppe Bucaro.

L’Ufficio dei BB.CC. ed il Museo Diocesano hanno accolto la richiesta della Congregazione, come di altre realtà, ed hanno contribuito in maniera fattiva alla ricollocazione dei beni nelle loro sedi di origine, ovviamente con le opportune protezioni consequenziali, contribuendo a realizzare, di fatto, il concetto di "Museo Diffuso".
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Fatta questa premessa, ricordate il mio articolo del maggio dello scorso anno quando, preso quasi da crisi mistica, scrissi l’articolo sul quadro dell’impiccato di proprietà della Congregazione di Santa Maria degli Agonizzanti? Ebbene, il 10 febbraio 2020 sono rientrati alcuni beni di proprietà della Congregazione la quale, in un lasso di tempo molto breve, sta riattivando operativamente sia la compagine stessa che la Chiesa.

Fino a qualche tempo fa la Chiesa di Santa Maria degli Agonizzanti in Via Giovanni Da Procida, struttura immersa nell’humus del Guzzet, un misto tra le tre religioni monoteiste per eccellenza (Ebraismo, Cattolicesimo e componenti Islamiche non indifferenti), risultava tra le Chiese "silenziose" del centro storico di Palermo.

Nella toponomastica della Palermo Araba il quartiere del Guzzet era delimitata dalla famosa Porta Bab al-hadid alias “porta del Ferro o Judaica” che immetteva nell’Harat al-Yahud, ossia al “quartiere degli Ebrei” dove sorgeva l’antica Sinagoga e che successivamente prese il nome di “Mesquita o Meschita”.

Scendendo per la strada dei Calderai si arriva alla enigmatica Chiesa degli Agonizzanti, uno dei punti di un ipotetico “Triangolo della Buona Morte” che comprende anche “la Compagnia di Sant’Orsola dei Negri”, con i teschi esposti nella facciata principiale della propria Chiesa, che si occupava di seppellire i defunti, “L’Arciconfraternita dei Miseremini” nella Chiesa di San Matteo e Mattia al Cassaro che si occupava invece di pregare per le anime del purgatorio.

Insomma, un cammino tra la “Condanna e/o la Sofferenza”, il “Conforto del Corpo” con il seppellimento e infine il sostegno dell’anima con il “Conforto dello Spirito”: un viaggio e tre sirbizza!

Ma cosa rappresenta la tela della condanna? Il dipinto è databile intorno alla metà del XVIII° secolo e raffigura la condanna a morte di un reo nella Piazza Marina, caso raro all’interno di Chiese. Nella tela in questione, oltre alla rappresentazione dell’esecuzione, sono evidenti la Chiesa di San Giovanni dei Napoletani, la Compagnia del SS. Crocifisso dei Bianchi e, all’esterno, la Congregazione degli Agonizzanti che assiste con preghiere all’esecuzione.

Inoltre, nel dipinto si notano sia il tirapiedi, che si avvinghia al condannato per trascinarlo verso il basso, ed al “Boia Maggiore” che appoggia i piedi sul collo del condannato per spezzarlo, perché doveva sì morire ma senza sofferenze o spasmi, almeno gli si riservava questa delicatezza.

L’opera commissionata raffigura, presumibilmente, un richiamo alle origini della Congregazione e ad un fatto risalente al 1613 e che diede impulso alla fondazione della Congregazione stessa dalla Compagnia di San Girolamo.

Un certo Francesco Anello da Caccamo il quale, vedendosi prossimo alla dipartita, chiese alla Compagnia dei Bianchi di far avvicinare un Algoziro ed i confrati, pensando che volesse scaricarsi la coscienza, acconsentirono. Ebbene l’Anello fece un tentativo per soffocare l’Algoziro che riuscì a scamparla per poco ed il reo di peso venne impiccato all’istante tra le sue bestemmie e maledizioni il ché diede grave scandalo ai presenti: ma si può morire mai così? In tutti i sensi, direi.

Insieme alla tela sono tornati anche due torcieri antropomorfi degli anni 40 del ‘700, raffiguranti due angeli rassomiglianti, tra l’altro, all’Angelo Custode della pala d’altare dedicata alla Madonna degli Agonizzanti, e di cui si conosce l’artista, Pietro Marino, grazie allo studioso Claudio Gino Li Chiavi che ha trovato il contratto di commissione dell’opera e che ha reso noto durante la giornata di studi per Nico Marino tenutasi a Cefalù il 23 dicembre 2019.

La prossima chicca è la prossima riapertura delle Cripte della Congregazione al pubblico.
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