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Un cuoco palermitano del '600 dal duca di Parma: il suo (delizioso) pollo con i canditi

È il 1659 e lo chef siciliano arriva alla corte di Ranuccio II Farnese dove portò questa ricetta realizzata grazie alla tradizione araba di cuocere la frutta nello zucchero

  • 5 ottobre 2022

È il 1659 e a Parma il duca Ranuccio II Farnese deve assumere un nuovo cuoco per sostituire il precedente, venuto a mancare. La scelta cade su Carlo Nascia, palermitano.

Vi chiederete cosa ci facesse un palermitano a Parma, ma al contrario di quanto possiamo immaginare c'era anche in quei tempi una grande mobilità di personale, specie nel vivace mondo della cucina, ed erano molti i cuochi che prestavano il loro servizio da una Corte all'altra.

Il nostro conterraneo nella sua nuova sede adottò subito un regime piuttosto rigido, suddividendo nel corso dell'anno quattro menu, uno per ogni stagione, senza eccezioni neanche per feste e banchetti.

Il Nascia non era, nell'opinione dei critici, un grande chef. Era un uomo semplice che applicava alla cucina della corte parmense i criteri di risparmio appresi nella sua terra d'origine: piatti senza fronzoli (ma saporiti!), con ingredienti non particolarmente raffinati e poco costosi, secondo la tradizione della nostra cucina povera.
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Insomma onorava il motto "minima spesa massima resa". La raccolta delle sue ricette s'intitola “Li quatro banchetti destinati per le quatro stagioni dell'anno", dove “banchetti” sta per menu.

Si tratta di preparazioni che risentono della cucina emiliana per la inevitabile necessità di reperire materie prime locali, ma denotano anche molti influssi siciliani. La gastronomia della nostra isola si è arricchita nei secoli delle contaminazioni dei popoli che qui si sono susseguiti: ognuno ha lasciato un patrimonio di ingredienti e ricette che è arrivato fino a noi e ha reso la nostra cucina unica al mondo.

Nel caso di Carlo Nascia la più evidente ascendenza è quella araba. Se sfogliamo insieme qualche pagina del suo ricettario, la prima cosa che incuriosisce è l’abbondanza di piatti di cacciagione (lepri, conigli, cinghiali) in cui un ingrediente importante è la frutta candita.

L'origine di questa scenografica delizia è appunto dovuta agli Arabi, importatori in Sicilia della canna da zucchero da cui estraevano il succo (“qandi” nella loro lingua e quindi “candito”) utilizzato per la cottura della frutta con una particolare tecnica da loro ideata.

La sorpresa è stata scoprire che questa combinazione di salato/dolce ha attraversato i secoli ed è arrivata fino a noi! Perché in un ricettario siciliano d'oggi troviamo uno straordinario Pollo con i canditi. Certo, è difficile convincere della squisitezza di questo piatto antico il nostro attuale senso del gusto, ma se superiamo un'aprioristica (e immotivata) ostilità per sapori insoliti, allora ci regaleremo un'esperienza inaspettatamente eccezionale.

Provare per credere: si soffrigge un battuto di cipolla sedano e carota e vi si aggiungono a rosolare i tocchi di un pollo privato della pelle. Si continua a cuocere a fuoco basso e coperto, aggiungendo un cucchiaio di miele sciolto in un po' d'acqua, mandorle a pezzetti, una stecca di cannella, un chiodo di garofano, buccia di limone grattugiata, un pizzico di zenzero in polvere e (ebbene sì!) pezzi di arance, limoni e cedri canditi.

Se necessario si va allungando con qualche cucchiaio d'acqua e a fine cottura si bagna con aceto bianco o di mele lasciandolo evaporare per qualche minuto. Si gusta tiepido (o, come si dice in Sicilia, "riposato").

L’ascendenza araba in questo ricettario si coglie poi anche in molte altre ricette: c'è un Cascietino ( n.d.r. Cassettina) alla Spagnola, pasticcini di frolla ripieni di ricotta, zucchero, aroma di cedro, certamente le antenate delle cassatine siciliane.

L'appellativo “alla Spagnola” non deve trarre in inganno perché la dominazione araba accomuna la Spagna e la Sicilia e proprio gli Arabi crearono la nostra cassata (probabilmente dall'arabo quas'at, scodella).

Proseguendo troviamo un Arcuscosso (n.d.r.Couscous) all'Africana ovvero un couscous di carne (alla maniera maghrebina) di cui l'autore fornisce una perfetta descrizione della tecnica di cottura: la semola di grano duro (in uso nel Meridione e soprattutto in Sicilia) viene impastata con l’acqua colorata di zafferano, ridotta in granelli piccolissimi e poi cotta a vapore per un paio d'ore su una pentola bucherellata. Infine è lasciata gonfiare col brodo di carne della cottura e servita con i pezzi di manzo e di capponi.

La ricetta sarebbe del tutto identica a quella attuale, in uso nelle Sicilia occidentale, se non fosse per due ingredienti che all'epoca del Nascia abbondavano in ogni piatto: zucchero e cannella, entrambi di importazione araba.

E ancora: i Leprotti in salsa di mandorle in cui il nostro cuoco fa uso dell'agrodolce, anch'esso di tradizione araba, ottenuto con zucchero e succo di arance amare. Insomma Nascia, che pure non è passato alla Storia tra i grandi chef (e probabilmente era analfabeta e dunque dettava il suo sapere ad un copista), nella sua semplicità e modestia riesce a portare al Nord l'essenza della cultura siciliana, non solo quella gastronomica ma anche la “sicilianitudine", che include i valori, i costumi, i princìpi dei suoi conterranei.
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