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Sposati in America e oggi hanno due gemelli: Francesco e Leo, due siciliani "arcobaleno"

Fanno coppia da 18 anni e nel 2013 si sono sposati. Nel 2016 volano in America e grazie alla "gestazione per altri" diventano genitori. Ecco cosa ci hanno raccontato

Jana Cardinale
Giornalista
  • 22 ottobre 2021

Leo, Francesco e i loro gemelli

Francesco e Leo sono felici. Così come vogliono che siano nella vita i loro figli, "qualunque cosa decidano di fare, qualunque lavoro scelgano di svolgere".

Leo è nato ad Alcamo, ma vive a Trapani dall’età di 8 anni, è un neuropsicomotricista dell’età evolutiva e si occupa di bambini autistici. Francesco è titolare di due agenzie di viaggi, a Marsala e a Messina.

La loro coppia si è formata 18 anni fa, e nel 2013 hanno deciso di assumersi anche dal punto di vista giuridico la responsabilità reciproca, andando a sposarsi a New York, e scegliendo il doppio cognome.

Avendo contratto matrimonio negli Stati Uniti, però, quando in Italia sono entrate in vigore le unioni civili, non hanno potuto celebrarle, ma hanno ottenuto dopo la trascrizione del loro matrimonio americano nel registro delle unioni civili.

Hanno due figli gemelli, di 4 anni e due mesi, nati nell’agosto del 2017 in America grazie alla "gestazione per altri".
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I bambini sono cittadini americani, ma un Tribunale italiano ha riconosciuto tutti e due i genitori, che sono registrati nel registro anagrafe, "per una loro tutela maggiore ed effettiva", riconoscendogli così anche i quattro nonni.

«Abbiamo impiegato tre anni e mezzo prima di trovare la donatrice di ovuli dei nostri bambini – dice Leo – ed è successo tutto per caso, quando lei generosamente e con grande semplicità ha accettato la nostra richiesta di conoscerla.

Perché volevamo che i nostri figli non avessero dei vuoti, ma che sapessero come sono venuti al mondo e conoscessero chi lo ha permesso. Che sapessero di essere con noi perché frutto di un amore complessivo, condiviso.

Lei aveva partorito da tre mesi e ci ha chiesto di andare a casa sua a trovarla, dopo essere stati in clinica per un colloquio con altre donatrici. Volevamo sin dall’inizio che fosse disposta ad avere un rapporto sia con noi che con i nostri figli, e così è stato.

Andiamo regolarmente in America una volta l'anno, ci incontriamo con loro, sia con lei che con la gestante, che sono i due angeli dei nostri bambini, viviamo come in una famiglia allargata e godiamo della generosità e della grandezza d’animo che queste due donne ci hanno consegnato».

Leo racconta che la "gestazione per altri" è un fenomeno diffusissimo in America, cui fanno ricorso tantissime coppie eterosessuali: persone che per i motivi più disparati non hanno la possibilità di procreare.

Solo il due per cento tra queste sono omosessuali, e nella maggior parte dei casi vi si fa ricorso abituale, mentre in Italia è un reato punibile con otto anni di carcere.

«La motivazione del nostro angelo è stata chiara: sono una donna fortunata, ho avuto la fortuna di essere in salute, di aver conosciuto mio marito e di avere quattro figli meravigliosi.

Desidero restituire un po' di questa felicità a chi non può viverla e metto a disposizione il mio corpo, con il sostegno di tutta la mia famiglia».

Leo e Francesco hanno assistito al parto e hanno tagliato il cordone ombelicale. I loro figli hanno dormito sul loro petto dalla prima notte, appena nati, e non si sono mai separati dai bambini.

Si sono fermati in America per circa un mese e mezzo dopo la nascita, per permettere l’allattamento che, benché non direttamente dal seno, come più comunemente accade in Italia, in America necessita sempre del latte di chi ha partorito.

I bambini sono seguiti con attenzione e amore, e sono circondati da una serenità costruita con tanta dedizione.

«La nostra gestante ha spiegato tutto questo ai suoi figli, che durante i nove mesi accarezzavano la pancia sapendo che i nascituri sarebbero stati figli di un’altra famiglia che aspettava di essere felice.

Ovviamente l’iter è sempre seguito senza lasciare nulla al caso, con un sostegno psicologico prima, durante e dopo il parto, e uno dei nostri figli porta il nome del più piccolo del figlio della coppia che ci ha permesso di diventare genitori, come omaggio al loro gesto».

Per i loro bambini sono papà Leo e papà Francesco, perché sono consapevoli di avere due padri ma sanno anche di avere due “angels” lontani che hanno consentito loro di venire al mondo.

Sono sereni e protetti. Leo è rappresentante di Arcigay Trapani nella Commissione Pari Opportunità del Comune e da circa un anno è nel direttivo della Segreteria provinciale del Pd, responsabile della comunicazione.

«Quando ha conosciuto Francesco – dice Leo – che è lucano, era un impiegato amministrativo, a tempo indeterminato, alla Fiat di Matera. Non ci ha pensato due volte e si è licenziato, decidendo di venire a vivere a Trapani, per amore».

Pian piano ha messo su la propria attività e poi hanno deciso prima di contrarre matrimonio e poi di diventare genitori.

«Ogni gestante – aggiunge - ha la propria motivazione, e occorre superare un test di compatibilità genetica, c’è un percorso importante da seguire. Noi siamo stati forti e sereni, pensando soltanto al bene dei nostri figli, e oggi rivolgiamo una particolare attenzione a ciò che li circonda e che si trova all’esterno rispetto al loro contesto: una preoccupazione diversa, che le famiglie eterosessuali non hanno. Le nostre famiglie di origine sono molto presenti.

I bambini vivono ricoperti d’amore, con delle certezze che sanno riportare quando e se qualcuno pensa di sollevare il tema della differenza, facendo magari notare ciò che li distingue in negativo, sostenuti dal clima di normalità che io e Francesco abbiamo voluto creare attorno a loro», con tanto affetto e del buon cibo che giorno dopo giorno papà Leo, che si diletta con maestria in cucina, prepara con cura.

«Un episodio tra i più significativi? Un giorno eravamo in un centro commerciale con i bimbi piccoli, e più di oggi davamo nell'occhio per quella che è la visione comune di famiglia. Un numeroso gruppo palermitano, probabilmente appartenente al classico quartiere popolare "degradato" non smetteva di osservarci.

Ci aspettavamo una considerazione un po' spregiudicata, che la classica omofobia strisciante ha sempre proposto a questo paese, e invece una donna si avvicina e ci dice: "non vi dovete offendere, io ve lo devo dire: voi badate a questi bambini meglio di come fa una madre"».
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