ARTE E ARCHITETTURA
Si chiama "Pianto Romano" ma è in Sicilia: l'obelisco (del Basile) che in pochi conoscono
Sorge maestoso tra le solitarie colline siciliane, a ricordo di un sogno di libertà mai veramente realizzato. La storia di questo monumento e perché si chiama così
Il Sacrario di Pianto Romano
Se vi trovate sulla strada statale SS 113, nei pressi di Calatafimi, potete fare un’interessante visita al sacrario di Pianto Romano, Chiantu Rumanu in siciliano. Il toponimo è attestato già in documenti del XVII secolo e indica una contrada, di proprietà della famiglia Romano, dove erano stati piantati delle vigne.
A Pianto Romano, sulla sommità del colle sferzato dal vento (che a volte sembra ululare, come il lamento di anime senza pace), circondato da una vallata coltivata a vigneti e campi di grano, svetta l’imponente mausoleo che custodisce pietosamente sia i resti dei garibaldini che quelli dei soldati dell'esercito delle Due Sicilie, caduti nella battaglia di Calatafimi, il 15 Maggio 1860 (la prima battaglia avvenuta nel corso della spedizione de “i mille”).
Il monumento è di enormi dimensioni e si scorge anche a distanza. Nelle parole del progettista si doveva trattare di «… Poche masse, ma chiaramente apprezzabili anche da lungi; studiata così la linea di contorno dell'insieme in relazione cogli effetti prospettici e coi punti di vista dal basso.”
Il 15 maggio i soldati borbonici, guidati dal generale Landi, erano usciti da Calatafimi, e si erano schierati in cima al colle di Pianto Romano, in posizione dominante.
I garibaldini, che erano sbarcati l’11 Maggio a Marsala, arrivavano da Salemi dove Garibaldi si era proclamato dittatore della Sicilia, ed erano diretti a Palermo, passando attraverso le colline sulla strada Salemi-Vita-Calatafimi.
Le truppe garibaldine, che nel loro percorso erano state rinforzate complessivamente da un migliaio di volontari siciliani, in gran parte giovani soprannominati picciotti, si schierarono dirimpetto al Pianto Romano, sul colle Pietralunga, un modesto rilievo pietroso.
Nonostante la stagione primaverile, la giornata era caldissima, così come era stato fin dal giorno dello sbarco a Marsala. Schierate quindi le proprie truppe su un terreno favorevole alla difesa ed essendosi garantito un'ampia riserva in caso di emergenza, Garibaldi attese le mosse dei borbonici, dando l'ordine ai Cacciatori delle Alpi di rimanere quanto più possibile nascosti alla vista del nemico.
La battaglia durò circa sei ore e si concluse con la ritirata dei soldati borbonici, guidati dal generale Landi verso Calatafimi.
Nel momento più aspro degli assalti al colle si svolse uno degli episodi che avrebbero avuto maggior risonanza epica: i garibaldini volevano innalzare una delle loro bandiere, quella donata a Garibaldi dalle donne di Valparaiso durante la sua campagna in Uruguay, ma intorno alla bandiera si accese un furioso scontro che vide cadere il portabandiera Simone Schiaffino mentre Menotti, figlio del Generale, veniva ferito. La bandiera fu strappata di mano ai garibaldini e portata via dai nemici.
Fra le fila dei garibaldini e dei picciotti, ci furono 42 morti e 250 feriti (tra questi il giovanissimo Vito Genova, di Vita - cittadina in provincia di Trapani - di appena 16 anni); fra i soldati napoletani furono 62 i feriti e una trentina i morti.
Nonostante le perdite non avessero in alcun modo compromesso la sostanziale superiorità dell’esercito regio, Landi rinunciò completamente a schierarsi su una nuova posizione e rinunciò altresì a qualsiasi iniziativa; nella notte stessa i militari borbonici presero la strada per Alcamo e i Mille, non avendo ostacoli, entrarono all'alba in Calatafimi.
I corpi dei caduti vennero dapprima lasciati sul campo di battaglia e poi seppelliti in una fosse comune, segnalata da una semplice croce di legno.
L'appello iniziale per la costruzione di un monumento, che raccogliesse i resti dei caduti e ricordasse la battaglia, fu lanciato il 9 settembre dello stesso anno da un comitato di abitanti di Calatafimi. Il mausoleo fu progettato nel 1885 da Ernesto Basile, e ricorda, nella facciata dell’ingresso principale, il frontone del tempio di Segesta (che si trova a pochi chilometri di distanza): "Tali i criteri da cui mi mossi e di cui avevo a pochi passi da Calatafimi splendidissimo esempio, il tempio di Segesta…”.scriveva Basile.
L’obelisco, che doveva essere completamente in “pietra calcare grigia del paese (Alcamo), materiale che si presta a una lavorazione accurata delle facce e degli spigoli” fu terminato nel 1892 e il sacrario di Pianto Romano venne inaugurato il 15 Maggio del medesimo anno dal sindaco Salvatore Cabasino, alla presenza del generale Paolo D'Oncieu de la Bâtie rappresentante del re Umberto I. Il monumento è decorato, così come previsto da Basile, da due altorilievi in bronzo, opera di Giovanni Battista Tassara (un garibaldino). I due rilievi, che raffigurano con dettagli realistici lo sbarco a Marsala e la battaglia di Calatafimi, furono inseriti a inaugurazione avvenuta. Oltre ai due altorilievi è presente anche una ghirlanda, sempre in bronzo, di palme e quercia.
All’interno del mausoleo vi sono due stanze, una accoglie due sarcofagi con le spoglie dei caduti e vi sono esposti diversi cimeli garibaldini: riproduzioni di armi e divise, fotografie, il ritratto post mortem di Simone Schiaffino di Camogli, il portabandiera della spedizione, dipinti, copie di lettere, lapidi commemorative con i nomi dei caduti; nell’altra è presente un grande plastico, di circa 4 metri quadrati, che rappresenta lo svolgersi dei combattimenti e che è stato collocato il 15 Maggio 2021, in occasione della cerimonia per il 161° anniversario della battaglia di Calatafimi.
Autore del plastico è l’artista Gianvito Cassirà, che ha realizzato oltre 2800 soldati, pezzi unici dipinti a mano. Alle spalle del monumento si trova il Viale delle Rimembranze, un sentiero fiancheggiato da cipressi, che conduce alla stele dove è inciso a caratteri cubitali: “Qui si fa l’Italia o si muore”. Garibaldi rivolto a Nino Bixio avrebbe pronunciato, secondo quanto riporta Cesare Abba, la frase diventata proverbiale, proprio in quel punto. Il sacrario è stato chiuso e abbandonato all’incuria per oltre un ventennio; negli ultimi anni è stato riaperto al pubblico, ed è visitabile tutti i giorni, grazie all’encomiabile iniziativa dei volontari di una cooperativa, l’associazione culturale “Segesta nel Sogno” che si occupa della gestione e della valorizzazione del sito.
In un’epoca come la nostra, caratterizzata da grandi scontri tra studiosi di fazioni avverse in merito a un risorgimento per anni troppo idealizzato, ricordiamo che come afferma il prof. Barbero: “La Storia è il ricordo delle piccole cose, degli orrori umani. È importante conoscerla perché ci dà strumenti ‘per stare al mondo”.
Ma soprattutto “La storia è la capacità di studiare capendo le ragioni degli uni e degli altri”.
Per informazioni sul Sacrario di Pianto Romano: www.piantoromanocalatafimi.it Email: segestanelsogno@gmail.com
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