ITINERARI E LUOGHI
Se lo vedi dall'alto sai subito cos'è: dov'è (a Palermo) il laghetto a forma di Sicilia
In una villa del '700 nel capoluogo siciliano c'è un particolarissimo specchio d'acqua che ha una forma davvero inconfondibile. Vi ci portiamo in un tour speciale
Il laghetto a forma di Sicilia di villa Niscemi a Palermo
Quel giorno avremmo visitato un lago a forma di Sicilia, che era sempre stato dentro Palermo, di fronte agli occhi di tutti, ma che non conosceva nessuno. Tutto era partito circa 24 ore prima, quando, sempre il professore, ci stava facendo fare esercizi di pareidolia. Eravamo infatti sdraiati, con la testa in su, a guardare il cielo.
Ad un certo punto la compagna Spataro vide una nuvola a forma di razzo, ma venne controbattuta dal compagno Maniscalco che era sicuro si trattasse di un rollò col wurstel. Ci pensò il compagno Carollo a ghigliottinare ogni dubbio: «Trattasi di nuvola a forma di minchia!». Ecco, la verità è che avevano ragione tutti e tre.
Ad ogni modo, proprio per insegnarci l’importanza della "prospettiva" e della "soggettività", decise di portarci a vedere quel piccolo lago dimenticato. Diceva lui: "Non esiste amore che non sia frutto di prospettiva e soggettività, come non esiste guerra che non sia frutto di prospettiva e soggettività".
Il pullmino finalmente si fermò a un incrocio, tra viale del Fante, via dei Quartieri e Viale Duca degli Abruzzi. Ci trovammo di fronte ad una costruzione più grande dei palazzi popolari dove viveva Carollo: si chiamava Villa Niscemi. Mentre ci scolavano le peggio sudazzate, il professore raccontò che a Palermo sempre caldo aveva fatto.
I ricchi quindi avevano l’abitudine, in tempi antichi, di farsi delle belle e sfarzose case estive proprio per ripararsi dalle afose estati cittadine. «E chiddi poveri, professò?» Carollo aveva un tipo di ignoranza curiosa. «Chiddi poveri a "Tempo d’Estate"!» Ecco, altro che progetto "innovativo", era dal 1700 che ce la scippavamo in quel posto.
Inizialmente, la villa pare fosse un baglio agricolo dotato di una torre, che, dopo essere passato di eredità in eredità, fu comprata da un certo duca delle Grotte, Tommaso Sanfilippo, che cominciò a convertirla in una villa.
Appena il compagno Carollo sentì duca e villa, partì, ovviamente, con una filastrocca indicibile, in voga in quegli anni, che cominciava con 800A e finiva citando il celebre cantante Claudio Villa.
A causa di questa esternazione teatrale, si beccò un pugno ca manciaciumi (una mossa di karate palermitana al 100%, che provoca prurito nei pressi della sutura sagittale del cranio).
Intanto che Carollo s’arraspava la testa, la villa era passata in eredità alla nipote del duca delle Grotte, nonché Marianna La Grua San Filippo principi di Carini, sposata con Vitale Valguarnera Branciforti principe di Niscemi.
Fu proprio grazie a loro, tra il 1730 e il 1750, che il possedimento divenne una ricca e fastosa villa, tra le più belle della città.
Altri personaggi illustri ci vissero negli anni. Prima la principessa Maria Favara Caminneci e il principe Corrado Valguarnera Tomasi, che ispirarono i personaggi di Tancredi e Angelica de Il Gattopardo, poi l’eccentrico Fulco di Verdura, un artista e nobile palermitano, nonché cugino di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che del romanzo sopraccitato ne fu l’autore.
Finita la parte riguardante i ricchi, il professore ci raccontò che, qualche anno dopo la morte di Fulco, i discendenti vendettero la villa al Comune di Palermo.
«Oggi» disse «non ci stanno più i principi ma l’Ufficio di Gabinetto del Sindaco». «Professò,» questa volta Carollo non aveva tutti i torti, «ma cu tutti i cacatoi che ci sono a Palermo, proprio qua deve venire a cacare il sindaco?».
Si aprì un acceso dibattito che coinvolse le menti più eccelse del gruppo. Si arrivò alla conclusione che il sindaco era così impegnato che gli facevano un gabinetto in ogni ufficio, proprio nell’evenienza in cui, non potendo staccare da lavorare, gli dovessero scappare i bisogni.
Attraversammo finalmente la strada per raggiungere il famoso giardinetto, situato a piazza Niscemi, costruito appunto per abbellire i giardini della villa.
Era lì dentro che si trovava il nostro famoso laghetto. Beh, a dire la verità, come tutte quelle cose in cui il viaggio è più bello della meta stessa, ne restammo tutti un po’ delusi. Più che un lago era una pozzanghera mezza prosciugata e maltrattata.
Inoltre, non uno di noi ci riconobbe la forma della Sicilia, anche perché senza vederlo dall’alto sarebbe stato difficile, e piazza Niscemi non era certo famosa per i grattacieli.
Tutt’attorno solo monnezza, che, ci spiegò Terranova, era la parte più realistica dell’opera. Dentro, qualche pesce invecchiato e qualche tartaruga depressa.
Almeno quel giorno, fortuna loro, poterono godere di un po’ di frittata scafazzata che avevamo dentro i panini del pranzo al sacco. Ad oggi, sono passati anni, il laghetto è ancora lì e i palermitani ci passano accanto quasi ogni giorno senza notarlo. Per quanto ne so, è sempre nelle stesse condizioni, se non peggiori.
Ecco cosa era la prospettiva: le cose cambiano da dove le guardi, le cose cambiano solo se ti muovi. Forse non si è mosso nessuno. Noi però quel giorno ci provammo a fare la nostra, scrivendo un bigliettino.
“Caro sindaco, le tartarughe stanno morendo di pititto e i pesci hanno bisogno di qualcuno che faccia le pulizie". Lo attaccammo ad un palo, chissà se nel percorso tra un gabinetto e un altro non l’avesse trovato… .
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