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Se ci metti piede ne resti stregato: l'isola di Mozia e il mistero del "Giovinetto in tunica"

Tappa obbligata per chi viaggia in Sicilia, l'isolotto davanti a Marsala ha una storia affascinante e anche tanti misteri come quello della sua famosa statua

Jana Cardinale
Giornalista
  • 15 giugno 2020

La statua del "Giovinetto" di Mozia

Un rifugio incantevole e incastonato nella storia, che da sempre si veste di un riflesso di magia, dove l’impatto con il mare, circondato dal fascino di una solitudine delicata, toglie il fiato a chi vi accede e vi scopre i tramonti addolciti dalla luce di quel paesaggio dai colori irruenti, dalla natura senza rumori, dal fascino del creato che lì, prende per mano, e fa respirare la bellezza che non si immagina.

L’isoletta di Mozia, che osserva le acque placide della Laguna di Marsala, accoglie chi arriva invitandolo a dimenticare ansie e ritmi quotidiani, per rilassarsi, innamorandosi di quella rara pace. È un tassello di Paradiso, un fazzoletto d’amore, per consolare chi non è mai pago di luce, di bellezza. Èuna veranda che fa dell’armonia il proprio regno, e che quando la sera si fa strada, e giunge a scolorire l’azzurro e il rosa del cielo d’estate, non spezza l’incantesimo e non sottrae grazia al mondo incontaminato in cui sopravvive.
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Visitando l'isola di Mozia si ha anche l'impressione di essere tornati indietro di qualche millennio. Si visita il museo con tutti i suoi reperti risalenti ai fenici, si osserva la vegetazione che ricorda quella di un'oasi naturalistica, ci si può immaginare al centro di una battaglia tra siracusani e cartaginesi, e si resta affascinati. È una tappa ineludibile, necessaria, per chi vuol conoscere al meglio il cuore dell’occidente siciliano, in cui si trova anche un piccolo edificio dove soggiornò Garibaldi quando giunse a Marsala durante lo sbarco dei mille.

Una piccola isola in mezzo a una laguna: così piccola da non far sospettare di aver avuto un ruolo nella storia dell’isola più grande, la Sicilia. Eppure proprio su "San Pantaleo", i Fenici diedero vita ad una prosperosa colonia. La sua posizione strategica, circondata dalle acque basse della laguna dello Stagnone, e protetta dalla vicina Isola Longa, la resero un obiettivo ambito sia dai cartaginesi che dai siracusani.

Ed è proprio a causa di questi ultimi che Mozia venne completamente distrutta e presto dimenticata, per essere poi riscoperta alla fine del secolo scorso. Una riscoperta legata al nome di Giuseppe Whitaker, un nobile inglese della fine dell'800 la cui famiglia si era stabilita in Sicilia e aveva avviato un fiorente commercio di esportazione di vino Marsala.

E sull'isola si erge l'abitazione dei Whitaker, trasformata in museo: quel luogo prestigioso che è la casa dell’Auriga, il famoso Giovinetto di Mozia. Al suo interno sono esposti oggetti rinvenuti sull'isola stessa, a Lilibeo e nella necropoli di Birgi, sul litorale di fronte a Mozia. Le ceramiche fenicie puniche, di forma semplice e poco decorata, i vasi corinzi, attici e talioti, che si ornano di figure nere o rosse; e ancora la collezione di sculture comprende statuette di divinità madri e il superbo Efebo dl Mozia, figura nobile dal portamento fiero e dalla lunga veste a piegoline di sicuro influsso greco.

È una delle attrazioni principali della splendida isola: dagli studiosi che ad essa si sono interessati è stata definita come la “statua dei misteri”, proprio perché misteriosi sono la sua origine, la sua rappresentazione simbolica, lo stile artistico e il secolo in cui la si possa collocare. Al riguardo sono state formulate varie ipotesi che ancora però non hanno avuto riscontro, poiché la statua è unica nel suo genere.

Ed è un mistero anche che cosa rappresenti. A prima vista potrebbe sembrare un auriga per via della tunica di garza a piegoline verticali e parallele, stretta al petto, all’altezza dello sterno, da una fascia. Ma le ipotesi variano da atleta vincitore a, persino, dio. La statua fu rinvenuta priva della testa la quale, però, giaceva accanto al corpo.

La bellezza e la cura dei particolari, anche della parte posteriore, fanno pensare che l’opera non fosse destinata a una esclusiva visione frontale: probabilmente nell’antichità era stata collocata in un luogo che le conferiva onore e dignità, forse in un tempio. Il Giovinetto già da un po’ è patrimonio stabile del Museo Whitaker, dopo le sue numerose trasferte in giro per il mondo. Dopo essersi mostrato, tra gli altri, ai visitatori delle Olimpiadi di Londra, agli americani di Cleveland e Los Angeles, il seducente giovane dalle forme perfette, il vero principe di Mozia, è definitivamente a casa.

Il "Giovinetto in tunica" in realtà, secondo alcuni studiosi, sarebbe Alcimedonte, figlio di Laerce, ricordato da Omero nei libri XVI e XVII dell'Iliade e descritto come un ottimo auriga che guidò personalmente il carro di Achille fuori dal terribile scontro per la contesa del corpo di Patroclo, ucciso da Ettore. La statua del "Giovinetto in tunica", in passato esposta anche a Venezia (due volte) e a Berlino, è stata rinvenuta a Mozia il 26 ottobre del 1979, nel corso degli scavi effettuati nel settore nord-orientale, tra il santuario di Cappiddazzu e la cinta muraria.

L’accesso all’isola di Mozia è consentito solo da due imbarcaderi privati, che, oltre a collegarla con la terraferma, permettono di visitare anche le altre isole dello Stagnone. Sull’isola, benché sia aperta al pubblico e visitabile durante gli orari stabiliti, è in vigore il divieto di sbarco non autorizzato.

Nell’antichità una strada collegava la terraferma all’isola tra Capo San Teodoro e l’estrema punta moziese settentrionale: oggi la stessa via traspare sotto la superficie del mare e non è più praticabile a causa dell’erosione e delle alghe di Posidonia oceanica. Mozia, culla di bellezza e stupore, raccoglie il desiderio di quiete e conoscenza e lo rende, generosa, sotto forma di avventura dai ricordi perpetui.
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