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Roney, Chamade e Kuletto's: la Palermo (da mangiare) dagli anni '70 ai 2000

La storia di una famiglia che rappresenta un pezzo importante della ristorazione del capoluogo siciliano, capostipite Ippolito Ferreri. Ce la racconta la figlia Germana

Valentina Frinchi
Freelance in comunicazione e spettacolo
  • 8 novembre 2024

Un'immagine del "Roney"

Questa è la storia di una famiglia palermitana che segue un'idea di ristorazione tramandata di padre in figlio, un pezzo di storia della città. Tutto inizia dal capostipite, Ippolito Ferreri, l'imprenditore che ha sognato in grande una bella Palermo.

Locali lussuosi, una cucina raffinata e ricercata, innovazioni che hanno cavalcato gli anni '70 fino all'inizio del nuovo millennio. Ristoranti firmati "Ferreri & Co".

Nel '71, in via Libertà, al posto dell'Alitalia, apre "Roney", un punto di riferimento in stile liberty che in un'epoca "provinciale" ha sdoganato certi modi di essere.

Un nome quello di Roney che non significa nulla, è solo un nome di fantasia. In effetti quel nome sarebbe stato il nome di uno slogan accattivante con un bel suono che avrebbe dato una svolta alla città nel settore della ristorazione e dell'intrattenimento.

L'inaugurazione è un grande spettacolo con un varietà di personaggi locali. Una giornata per Palermo inusuale poco prima dell' austerity del '73 quando i palermitani si recano da "Roney" in taxi o in carrozza. La via Libertà, all'epoca, era davvero un salotto.
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«Al Roney ci si può accomodare in dei tavolini in stile con un'impronta aristocratica, dove la gente può ritrovarsi anche per concludere un affare o incontrare un professionista» racconta così Germana Ferreri, figlia di Ippolito.

Ippolito Ferreri e Franco Belli, due uomini, due compagni d'infanzia. La loro "impresa goliardica" dura poco perchè Franco Belli in parallelo apre il "Ciro's".

In realtà, sulla carta la socia è la moglie di Ferreri, Vittoria Catalano. Successivamente si aggiungono Angelo Di Bartolo e Renato Curatolo. «Mio padre amava studiare la gastronomia all'estero tra la Francia e la Normandia» racconta la figlia. Ippolito Ferreri, classe '38, è un geometra dell'Anas, faceva la revisione di tutti i progetti autostradali.

La sua passione, però, è la gastronomia. Figlio di una foggiana - una cuoca aristocratica, Germana continua a ricordare così: «A casa c'era uno stile di cucina molto ricercato come il pasticcino alle mandorle e il maialino dei Nebrodi anzichè la pasta al sugo».

Ferreri è un cultore del buon cibo a 360 gradi: «Spendeva tanto, non era sempre conveniente stare al suo fianco perchè la sua soddisfazione era quella di gratificare il pubblico, piuttosto che pensare ad un ritorno economico. Qualsiasi socio lo trovava un po' scomodo».

Un posto, quello del Roney, rinnovato più volte ma sempre in stile liberty. Il "Roney" anticipa i tempi sperimentando l'"happy hour" in un'epoca distante dall'attuale idea di "aperitivo".

I tramezzini del Roney non saranno mai dimenticati. «Un pancarrè fresco (prodotto all'interno di Roney) preparato da un cuoco romano». In effetti, fino a quel momento, il "bere" era una cosa per soli uomini. Non era considerato molto elegante che una donna bevesse molto alcol.

Ecco che l'aperitivo del Roney invece apre a un'idea che poi è quella contemporanea. Tutti possono bere, uomini e donne, cocktail leggeri. È un aperitivo col "canapè" accompagnato da un piattino di stuzzichini dove il tramezzino è appena un piccolo tondino. «Si poteva così godere della buona gastronomia che mio padre aveva importato da Roma», prosegue la figlia.

La gente di Palermo risponde subito a questa innovazione. In questo modo si chiudono i salotti di casa e si aprono quelli del Roney. Nella veranda ad angolo con la via Torrearsa primeggiano le poltroncine in bambù con una parete colorata, come a richiamare l'ambiente di una foresta amazzonica.

«Successivamente, per problemi di umidità, stuccando il controsoffitto vengono fuori degli affreschi restaurati durante un mese di chiusura del Roney. A questo punto cambia ancora l'arredamento che deve essere in stile con gli affreschi: tavolini in vetro e sedie in legno pregiato con sedili intrecciati».

Nel '78, proprio in via Torrearsa, Ferreri apre "Chamade" per creare un'altra realtà. Un posto dove si può mangiare la pizza o una cena di alto livello. Mentre da Roney l'approccio è più "easy", allo Chamade l'ambiente è riservato. Al Roney potevi fare il take away dei nostri giorni di pietanze come i timballetti al tartufo con un servizio a domicilio, una novità assoluta per quei tempi.

«Allo Chamade c'era il pianoforte a coda e la cucina a vista. Chamade ha un successo esagerato ma Roney resta un'altra realtà» commenta Germana.

Allo Chamade arriva soprattutto la nuova generazione, i coetanei dei figli di Ippolito Ferreri. Ferreri non si ferma e di lì a poco apre "Chamade - Mondello" un posto tra i suoi ristoranti che avrà la vita più lunga vita.

Ma torniamo da Roney. Arrivano gli anni '80 e al fianco di Ippolito Ferreri c'è un'altra donna, Teresa Dawidowska. «La compagine sociale viene ridotta. Era difficile lavorare con mio padre perchè lui non badava a spese. Dalle aragoste ai tartufi, cose esageratamente costose» racconta Germana.

Al piano di sotto, in una struttura di pari grandezza c'è una cucina che odora di futuro. Un ambiente settoriale con spazi dedicati alla pasticceria, al salato, alle celle frigorifere e un ascensore. Un'impresa che sa guardare avanti ed emulata dai nuovi imprenditori.

Questa è una Palermo dove accorre una clientela aristocratica. Roney è un luogo d'incontro dove sorseggiare un buon thè e deliziare il palato con la sua pasticceria: dagli choux al limone, alle ciambelle, ai tagliolini al tartufo.

Qui puoi trascorrere qualsiasi occasione dalla pasticceria alla cena di alto livello. Un fatto increscioso determina la chiusura del Roney. Un bicchiere di liquido cotenente sodacaustica è stato involontariamente dato al posto di un bicchiere d'acqua. A pagarne le conseguenze sarà Ippolito Ferreri, in tutti i sensi.

Quel "Cafè di Parigi" a Palermo chiude tra il 2003 e il 2004. Nel frattempo, nel '90 Germana Ferreri apre un locale tutto suo: "Kuletto's" in piazza De Gasperi, un posto per accogliere le ragazze sole in una Palermo che si vuole evolvere e che si sta preparando a "Italia '90". «Lo chiamo "Kuletto's" perchè volevo essere un po' provocatrice. Kuletto sta per fortuna e il genitivo sassone lo riconduce a me. In un certo senso mi auguravo fortuna» racconta Germana.

È una champagneria con vini eccezionali dove si possono gustare taglieri di qualità preparati ad hoc per garantire l'igiene. C'è la "patata bollente", una patata cotta al forno spaccata al centro e ricoperta di fonduta di formaggi, piuttosto che al radicchio, bacon o funghi porcini. E c'è anche il tagliere di dolcini mignon con le "creppettine" nane. Kuletto's accoglieva uomini e donne soli in cerca di un posto accogliente». Cominciava ad esserci qualche divorzio.

Un posto pulito e controllato, dove il terzo bicchiere di vino si concede con difficoltà. «Mi piaceva viaggiare e portare le nuove idee da Kuletto's». Questo posto dura 13 anni. In quegli anni, in parallelo Ippolito Ferreri è proprietario di "Sottosopra" in via XX Settembre ma poi si trasferisce anche lui in piazza De Gasperi per aprire nel 2005 "Charme" esattamente accanto al Kuletto's, un posto che vuole racchiudere tutta la sua esperienza professionale questa volta in società con Vincenzo Programma.

Il figlio di quest'ultimo, Mirko Programma entra in società con Germana nella parte finale di "Kuletto's". Ma Ippolito Ferreri vuole sempre cambiare e soprattutto possedere una cosa propria.

È la volta quindi di un altro posto, questa volta in via Principe di Belmonte che condivide insieme ai nipoti, chef altolocati. L'ultimo ristorante prende proprio il suo nome "Ristorante Ippolito", quando Ferreri ha la veneranda età di 84 anni.

Alla fine dell'intervista chiedo a Germana: «Cosa ha rappresentato il Roney per tuo padre?» - lei risponde: «la voglia di realizzare all'interno della città qualcosa che lo rappresentasse.

È stato quello da cui è partita tutta la sua proiezione verso le altre realtà lavorative che non erano altro che la domanda del pubblico. Era una Palermo piena di giovani che restano, insieme al funzionamento di tanti settori» In città oggi, per fortuna, il nome "Ferreri" continua.

L'erede è Christian, letteralmente cresciuto tra i tavoli del Roney. Un vero figlio d'arte che è riuscito ad acquisire il meglio degli insegnamenti del padre. «Mio fratello è un bravo imprenditore e sa mettere a sistema l'arte culinaria e anche una giusta remunerazione del capitale investito», conclude Germana.
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