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Quello scantinato simbolo di condivisione: Palermo negli anni '80 era "Non solo Alive"

Per decenni è stato luogo di scambio reciproco per intere generazioni che hanno trovato in quel seminterrato di via De Spuches una storia comune, di apertura e accoglienza

  • 10 maggio 2021

Marcello Barrale (chitarra), Gabriele Ajello (fisarmonica) e Francesco Prestigiacomo (batteria) in concerto al Non solo alive di Palermo

C’è stato un tempo, non troppo lontano, in cui non esisteva internet e neanche i social network, ma si aveva voglia di vedersi dal vivo per discutere, confrontarsi, dialogare. Magari bevendo un bicchiere di vino davanti a un quadro o mangiando un boccone prima di una pièce teatrale.

In quel periodo, a Palermo, bastava scendere in un seminterrato di via De Spuches per sentirsi parte di una «casa fortemente identitaria sì, ma accogliente e aperta a diverse anime e sensibilità».

Quello scantinato era diventato un «punto di riferimento fondamentale per i piccoli pezzi della Sinistra palermitana». Divisa, frammentata, frazionata, ma unita nel desiderio di «creare cultura e di farlo attraverso lo svago e l’intrattenimento».

Era un tempo in cui arrivava il sabato sera ed era Non Solo Alive.

«Al limite fra un’associazione e un centro sociale», non era semplicemente questo ma molto di più. Perché il Non Solo Alive, per decenni, è stato luogo di scambio reciproco per intere generazioni che hanno trovato in quel seminterrato una storia comune.
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La storia dell’Alive, infatti, è «una storia antica, che nasce alle fine degli anni '80 ma che affonda le proprie radici nel Movimento del ’77, ospitando inizialmente un circolo di Democrazia Proletaria».

Si è evoluta, si è trasformata, si è sviluppata, ma non ha mai cambiato la sua vocazione: «Costruire comunità attraverso iniziative di tipo culturale».

«Organizzavamo mostre, concerti, rappresentazioni teatrali e tutto questo lo facevamo su base volontaria» - racconta Giancarlo Minaldi, uno dei presidenti dell’associazione -. «Non guadagnava nessuno, neanche gli artisti, ma il posto sopravviveva grazie all’impegno dei soci che ci credevano e che si alternavano in turni per preparare cene che servivano a pagare l’affitto.

Non c’era una ragione precisa per cui lo si faceva, lo facevamo perché la trasversalità e l’incontro tra le diverse energie e generazioni era incredibile e per noi rappresentava un valore aggiunto».

Già, perché al Non Solo Alive non era difficile incontrare «ventenni che avevano voglia di passare una serata con sessantenni e viceversa: si imparava ma ci si confrontava, senza mai essere soggetti passivi», senza mai sentirsi giudicati.

«C’erano le associazioni che lì trovavano sede, c’erano i comunisti, i socialisti, gli anarchici, chi non amava le etichette, a volte c’era anche qualcuno di destra, che veniva preso abbondantemente in giro» - aggiunge Peppino Albanese, un altro degli storici presidenti. Ma non solo.

«Dal patito di scacchi al militante politico duro e puro, dal bevitore incallito a chi andava soltanto per abbordare, il mondo che attraversava quello scantinato era vario e variegato e i soci dedicavano anima e corpo per accoglierlo».

«Mentre di pomeriggio si parlava di politica e le associazioni si riunivano, si doveva anche pensare a come strutturare le cene. La serata del sabato bisognava cominciare a progettarla giorni prima.

Di settimana in settimana si decideva chi avrebbe organizzato la cucina, chi avrebbe fatto la spesa, chi avrebbe pensato al menù, chi avrebbe fatto il “trasferendo” portando le vivande in sala, e chi avrebbe lavato i piatti».

Insomma, un ingranaggio perfetto che funzionava grazie all’entusiasmo di chi quel luogo lo ha vissuto come una casa rendendolo casa per qualcun altro, senza uno scopo preciso. Perché, al di là dell’avere una appartenenza politica o meno, «c’era la voglia di stare insieme, che era più forte di qualsiasi altra cosa».

Tanto che i tavoli non erano separati, ma comunitari e chi arrivava solo sapeva che solo non sarebbe rimasto perché quel posto era un’occasione per conoscere persone nuove, intessere amicizie, incontrare amori o avventure. Per poi, finita la serata, «tirare fuori le chitarre e ritrovarsi a strimpellare cantando De Andrè o Guccini fino a tarda notte».

Collettività, comunità, condivisione erano le parole d’ordine.

E in una Palermo dove non esisteva quasi nessun luogo di aggregazione o pub, «il Non Solo Alive conciliava perfettamente il fermento politico di quegli anni con un intrattenimento culturale di un certo livello».

A sentire parlare i soci di quei tempi sembra quasi di avere percorso con loro quell’esperienza.

Hanno infiniti aneddoti da raccontare: dal legame nato con Franco Scaldati e gli spettacoli ospitati nonostante il posto fosse molto piccolo alle "schitarrate" con il cantante del Banco del mutuo soccorso capitato lì per caso, dalle performance organizzate per la prima edizione del Genio di Palermo ai gruppi musicali emergenti che lì trovavano spazio per esibirsi.

Tutti piccoli episodi di vita quotidiana che hanno fatto del Non Solo Alive un’esperienza di vita difficile da dimenticare. Tanto che, quando lo spirito che lo animava ha cominciato a esaurirsi, molti hanno chiuso la porta dietro di sé ma non il cuore.

Basta chiedere a Giancarlo e Peppino cosa provano quando passano da lì per capire cosa ha significato per loro e, probabilmente, per tutte quelle generazioni che hanno fatto parte di quella storia.

«Un caos di sensazioni, infinita nostalgia per un periodo che è stato esplosivo, bellissimo, intenso, ricco di eventi e conoscenze», è la risposta. C’è chi preferisce non passare davanti a quel cancello chiuso per le troppe emozioni e chi, invece, passandoci ripercorre parte della propria esistenza.

Quello che è sicuro è che l’anima di quel luogo vive ancora nelle persone che lo hanno attraversato e, anche se in modo diverso, è in giro per il mondo con i tanti e le tante che sono chi sono anche grazie al Non Solo Alive.
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