MISTERI E LEGGENDE
Quel siciliano di Shakespeare: il mistero irrisolto del famoso drammaturgo inglese
William Shakespeare è conosciuto come il più grande autore inglese di tutti i tempi ma attorno alla sua figura ruotano molte leggende circa le sue vere origini
Raffigurazione di William Shakespeare
Fa sorridere, di primo acchito l'idea che dal 1925 circa in poi si sia sviluppata una nuova corrente di pensiero secondo cui Shakespeare sarebbe addirittura italiano. Siciliano di Messina, sostiene qualcuno.
La mancanza di legami fra le storie narrate ed i luoghi natali dell'uomo venerato dagli inglesi e autore di trentasette opere teatrali e oltre centocinquanta sonetti, fanno sospettare che in realtà le sue origini non siano quelle che vengono studiate sui libri di letteratura. Ma chi era dunque costui? La nuova biografia dello Shakespeare siciliano è presto svelata.
Il primo a sollevare le teorie sulle origini messinesi del Bardo fu nel 1929 il giornalista Santi Paladino identificando il drammaturgo inglese con Giovanni Florio, autore di un libercolo di proverbi dal titolo "I secondi frutti". Il contenuto di questo libro, tenetevi forte, sarebbe parzialmente presente all’interno dell'"Amleto".
Da qui, tutta una serie di ipotesi sulla sua reale identità: pare che il figlio di Giovanni Florio, Michelangelo, abbia scritto un'opera del 1579 il cui titolo, "Tantu trafficu pi nienti", ricorda terribilmente il "Molto rumore per nulla" (il titolo originale è "Much ado about nothing", 1598) di Shakespeare, che ha soprattutto la caratteristica di essere ambientata proprio a Messina. Fino a qui, si dirà, nulla di strano; del resto, sono parecchie le opere del drammaturgo inglese ambientate in Italia.
La tesi "floriana" viene ripresa poi da Martino Iuvara, professore dell'Università di Palermo che nel 2002 diede alle stampe un suo saggio sulle origini siciliane dello scrittore, azzardando una nuova identità: William sarebbe in verità proprio Michelangelo, il figlio di Giovanni Florio e della nobile messinese Guglielma Scrollalancia (o Crollalancia). Guarda caso, la traduzione inglese del cognome di quest'ultima è proprio shake-speare.
Ma perché arrovellarsi tanto sull'identità siciliana di Shakespeare? Agli anglosassoni, ovviamente, questa tesi risultò indigesta ma agli occhi degli studiosi era più facile attribuirgli una nuova identità piuttosto che accettare il fatto che Sir William potesse essere un inglese appassionato di cultura italiana, e che avesse ambientato gran parte dei suoi drammi e delle sue commedie in Italia (trentasette opere per essere precisi).
Non è chiaro neanche il fatto che nei registri scolastici di Statford-upon-Avon non compaia il suo nome e che neppure sia stato registrato nel prestigioso club londinese del quale avrebbe fatto parte e dove invece, colpo di scena, era iscritto il nome di Michelangelo Florio.
Grandi assenti, ancora una volta anche a Messina, le prove documentarie; a supporto della tesi il terribile terremoto del 1908 che distrusse tutto. Ma come sarebbe arrivato "il Florio" da Messina al Globe?
Tale Michelangelo avrebbe dovuto affrontare numerose peregrinazioni perché ricercato dalla Santa Inquisizione per via di idee eretiche e si sarebbe quindi allontanato da Messina per raggiungere prima il nord Italia (Milano, Padova, Verona, Faenza, Venezia e un amore finito male con una tale Giulietta a Treviso), per poi rifugiarsi in Inghilterra, presso un cugino inglese della madre (Shakespeare), che gli assegna il nome del figlio scomparso prematuramente, cioè, appunto, William.
Come avrebbe potuto però, il messinese, scrivere in una lingua straniera in maniera tanta eccelsa da divenire un vero e proprio canone al pari di Dante Alighieri?
Insomma, alla fine dei conti, quella di Shakespeare messinese si rivela essere poco più che una ipotesi romanzesca, una speculazione; o, per dirla con le sue stesse parole, forse si sta facendo "molto rumore per nulla". A voi la conclusione che più vi aggrada.
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