CURIOSITÀ
Quando un buddha si fermò a Comiso: Gyosho Morishita e la sua Pagoda della Pace
Al centro del Mediterraneo, in un punto “energico” dove Europa e Africa si incontrano, il tempio è ancora lì, a ricordarci quegli anni e una pace che ancora deve essere trovata
La Pagoda della Pace a Comiso
In una calda giornata d’estate del 1981, infatti, il Consiglio dei Ministri dell’allora Governo Spadolini approva la decisione della Nato di collocare 112 missili nucleari di media gittata, i Cruise, nell’aeroporto di Comiso.
In un istante, quel piccolo comune siciliano in provincia di Ragusa piomba sotto i riflettori. Tanti siciliani non ci stanno, e iniziano così mesi di proteste.
Il 4 aprile del 1982 in quasi centomila, guidati da Pio La Torre, attraversano una vecchia strada provinciale e arrivano lì dove i missili stanno per prendere il posto di quello che in passato era stato un aeroporto civile: chi in auto, chi col pullman e chi perfino con l’autostop, ma tutti con l’unico obiettivo di dire no alla costruzione di quella base.
La prima di una serie di manifestazioni e carovane pacifiche. Nel giro di poco tempo, si verifica qualcosa di spontaneo mai accaduto nella movimentata storia siciliana: l’onda di protesta supera lo stretto di Messina per raggiungere le più importanti piazze italiane, valicando anche i confini nazionali e portando nella nostra isola sempre più pacifisti provenienti da tutto il mondo.
Un alieno che vive in un piccolo garage e che decide, anche dopo la fine della Guerra Fredda e lo smantellamento della base, di rimanere in Sicilia per edificare, proprio davanti all’aeroporto, l’ottantesima “Pagoda della pace” nel mondo.
Con le sue stesse mani e con l’aiuto di alcuni amici, in un pezzo di terra che gli viene regalato e dove un tempo c’era il campo dei pacifisti, nel giro di otto anni costruisce la quarta “stupa” d’Europa. Unica in Italia e considerata una delle più belle, la pagoda è alta 16 metri e ha un diametro di 15: con una cupola rotonda e un pinnacolo finale, bianca e imponente, spicca inconfondibile sulla collina di Canicarao.
Al centro del Mediterraneo, in un punto “energico” dove Europa e Africa si incontrano, il tempio è ancora lì, a ricordarci quegli anni e una pace che ancora deve essere trovata. Il reverendo ormai non vive più nel garage, ma in una piccola stanza accanto alla pagoda: la sua giornata, però, da oltre trent’anni inizia alle 5 del mattino e continua con la preghiera, sotto l’ala protettiva del Buddha dorato.
Un’atmosfera magica, un senso di quiete e di serenità difficili da trovare nella frenesia e nel caos giornalieri. D’altronde, come dice lo stesso Morishita nel reportage di Giuseppe Bertuccio D’Angelo, «la felicità più grande è spirituale, quella materiale non durerà mai».
Chissà, forse dovremmo andare anche noi a cercarla in quel luogo senza tempo, per riflettere su ciò che conta per davvero. Per il monaco è la salute «perché se manca quella tutto il resto è impossibile». Parole, le sue, che in un momento storico come questo dovrebbero diventare il nostro mantra.
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