MISTERI E LEGGENDE
Quando la tua famiglia è peggio di Beautiful: la storia (tutta siciliana) della dea Persefone
Signori miei, diciamoci la verità: ci vuole pure fortuna per farsi un uovo fritto. Questa è la storia di come padre, madre, e zii compresi, consumarono la bella Persefone
Il "Ratto di Proserpina" di Rembrandt del 1632
Insomma, essere figlia di Zeus e Demetra (che poi erano pure fratelli), due che a Ridge e Brooke di Beautiful se li fottevano alla prima curva, non doveva essere tanto facile: questa è la triste sorte che toccò a Persefone.
Ora, siccome già la famiglia bella era, Poseidone, l’altro fratello di Demetra, un giorno la spia dalla serratura e la vede annacarsi come nel film Pierino a suon di “mela, mela, banana e caffè”. Sente salire le quaranate di passione e decide che è arrivato il momento di fare tredici.
“Ma come? a Zeus si e a mia no?” Demetra si trasforma in una puledra e scappa, Poseidone si trasforma in uno stallone e l’assicuta, la becca in una stalla e le fa la festa. Dal galeotto coito, e pure incestuoso, nasceranno il cavallo Airone e sua sorella Despena.
Comunque, un giorno Persefone si stava raccogliendo un poco di fiori in una bella vallata nelle parti di Enna (Zeus come al solito non c’era perché era appresso a qualche femmine - basta che respiravano lui era apposto-, e sua madre Demetra, che a ancora le bruciava la cosa dei cavalli, le andava dietro ricordandole che quando si calava per raccogliere i fiori doveva avere quattro occhi: due davanti e due dietro).
Come fu, come non fu, forse Persefone s’allontanò troppo assai, la terra s’aprì e spuntò quel brunello di Ade (pure lui fratello di quei begli spicchi) sul cocchio coupé trainato da Aetone, Meteo, Nonio e Abaste: quattro cavalli neri che un polmonite era più bella.
Mo ce ripigliamm’ tutt’ chell che è ‘o nuost’” esclama, ancora più allupato di suo fratello Poseidone, Ade; e, detto questo, afferra la bellissima Persefone e la rapisce. Demetra, accortasi del ratto, prende a stracchiolare della meglio maniera e a tirarsi i capelli perché non le può pace.
Nove giorni rimane in giro per la Sicilia a chiedere se qualcuno l’ha vista, ma i siciliani non cantavano manco se nascevano figli di Pavarotti: “A pignata taliata ‘un vugghi mai”, le dicevano (ovvero che la pentola guardata non bolle mai: meglio mettersi l’anima in pace e aspettare).
Demetra infuriata risponde: “per un cornuto, un cornuto e mezzo!”, che alla fine è il terzo principio della dinamica secondo cui “a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria”, e per sfregio decide di provocare una potente carestia per fargli leccare la sarda a tutti.
Appena Zeus apprende che sua sorella sta facendo più danno di un ministro al Papete e lo spread è salito alle stelle, lascia le femmine, i bagagli e si ricorda di essere lui “u patruni r’a taverna” (il capo). “Chiamatemi quel tascio di Hermes!” comanda tutto arrabbiato (e con tascio intendeva tamarro). “Ma chi, quello vestito tutto firmato dalla testa ai piedi?” “Si, proprio lui.”
Dunque, in quattro e quattr’otto, manda il messaggero da Ade per mettere le cose apposto come si faceva una volta. “Troppo tardi”, gli fa sapere però Ade, “Persefone si è mangiata sei chicchi di melagrana; e chi mangia negl’inferi non può andarsene più da qui. Solo uno che si chiama Marco Pannella ci è riuscito, ma quello ai digiuni c’è abituato”.
Tira di qua, tira di là, ti do lo scudetto del Palermo e la figurina di Tanino Vasari, alla fine Zeus riesce a convincere Ade a patto che, da quel giorno, Persefone fosse rimasta quattro mesi l’anno negl’inferi e otto con Demetra, magari in Sicilia, per il resto dell’eternità. E chista è la storia di come padre, madre, e zii compresi, consumarono la bella Persefone.
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