ITINERARI E LUOGHI
Prima si chiamava Olympeion (e sorge in Sicilia): che cosa rimane ora "re' du colonne"
Una bellezza chiusa al pubblico, su cui i turisti poggiano spesso gli occhi. Così come i cittadini, che lo vivono come una bellezza decadente avvolta dal mito
Tempio di Zeus (foto di Antonio Randazzo)
Esse sono quel che rimane del Tempio di Zeus o Giove di Siracusa. Costruito nei primi decenni del VI secolo a.C, chiamato in greco Olympeion e in dialetto siciliano “re’ du culonne” è il secondo tempio più antico della città aretusea, dopo quello di Apollo nell’isola di Ortigia.
La zona su cui sorge è a Sud Est della città, originariamente chiamata Eloro, la prima subcolonia di Siracusa, conosciuta oggi come via Elorina. Tappa immancabile di uomini di cultura nel '700 e inizi '800 era noto per la sua imponenza e magnificenza (ben 20,50x,60. m) da cui si poteva intravedere il Porto Grande, le Saline, Ortigia e il Plemmirio; non a caso, i greci lo usavano come promemoria dei naviganti che arrivavano o salpavano dal Porto di Siracusa.
Il tempio, al centro di un piccolo abitato suburbano privo di mura chiamato Polichne, è realizzato probabilmente con la pietra delle latomie del Plemmirio trasportate mediante zatteroni.
Lo spazio compreso tra le colonne era di 4,08 m per le frontali e 3,75m per le laterali e vantava rivestimenti in terracotta e decorazioni con motivi somiglianti a quelli del tempio di Apollo.
L’edificio aveva funzione religiosa (presieduto da una casta sacerdotale reputata la più importante della città) e anche quella giuridico - civile; infatti, al suo interno erano custodite le liste censitarie dei cittadini, rubate dagli Ateniesi durante l’assedio della città. E non si esclude sia stato pure custode del tesoro cittadino.
Secondo alcune ricostruzioni, al tempo del tiranno Dionigi, il tempio accoglieva una statua crisoelefantina (realizzata in avorio e oro) di Zeus donata da Gelone e in seguito dotata dal tiranno di un manto prezioso, poi dallo stesso sostituito con uno di lana “...con l'ironico pretesto che il dio sarebbe stato assai più protetto dal freddo e dal caldo" (De natura deorum Cicerone, III, 83).
Un caso non isolato, perché nell’arco della storia il tempio di Giove è soggetto a numerose depredazioni in quanto accampamento per Ateniesi, Cartaginesi e Romani durante le guerre contro la città.
Oggi, dopo gli scavi del 1893, 1902 e 1953 (che ha rilevato la presenza di due profondi fossati, forse a scopo difensivo) di questa struttura un tempo imponente rimangono, appunto, solo le due rinomate colonne delle 17 laterali, parte del krepidoma (piattaforma di gradini in pietra rialzata dove era costruito il tempio) e tutto l'incasso della roccia in cui era inserita la fondazione.
A questi si aggiungono anche le falde del tetto, conservate presso il Museo Archeologico Paolo Orsi.
Una bellezza, chiusa al pubblico, su cui i turisti poggiano spesso gli occhi incuriositi dalla soglia del cancello; così come i cittadini, che lo vivono come una bellezza decadente avvolta dal mito e una fitta vegetazione.
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