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Potrebbe essere una casa museo, invece ci sono i soliti uffici: Villino Ida a Palermo

Unico sopravvissuto a un contesto ormai stravolto (il quartiere dell'Esposizione) villino Ida Basile è un capolavoro di arte integrale: tutto, all'interno era firmato da Basile

Danilo Maniscalco
Architetto, artista e attivista, storico dell'arte
  • 29 ottobre 2018

Villino Ida in via Enzo ed Elvira Sellerio a Palermo

Quando nel 1903, Ernesto Basile progetta e costruisce la sua casa a Palermo, già alcuni dei "grandi" del modernismo architettonico internazionale lo avevano preceduto: dalla prima villa Viennese di Wagner (1886-88) alla casa di Wright a Oak park (1889-95), dalla -Bloemenwerf - di Van de Velde (1895) alla casa-atelier di Horta (1898) e a quelle di Behrens e di Olbrich a Darmstad (1901).

Comincia così, il suo saggio breve dedicato alla casa-studio di via Siracusa del maestro Art Nouveau, Gianni Pirrone e dopo aver ricordato che alla data in cui scrive, 1981, il sacco edilizio ha già inghiottito i villini Fassini e Ugo, Villa Deliella mentre un misterioso incendio ha colpito gli interni del Villino Florio.

E aggiunge il ricordo personale indicativo, ricordando quando il suo maestro Edoardo Caracciolo lo invio a principio del 1950 a fotografare i “"documenti" dell'architettura palermitana in vista del VII congresso Nazionale di Storia dell'architettura che si sarebbe tenuto proprio a Palermo.
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Nei ricordi di Pirrone, si staglia il villino Basile come unico sopravvissuto di un contesto stravolto e ormai perduto in cui la bellezza della misura urbana della via Villafranca si confondeva con la natura a perdere in direzione della villa Trabia.

Insomma, un documento nel documento.

Se di tale contesto, nessuno di noi, può oggi coglierne la cifra di una eleganza diffusa strappata, altra storia invece è per la casa-studio che l'architetto palermitano dedica alla moglie donna Ida Negrini.

Il capolavoro del ciclo basiliano delle Ville Bianche, a metà strada tra un omaggio cromatico al bianco serpottiano e la bellezza delle conquiste compositive della Secession viennese fusa alle istanze formali mediterranee.

Un simposio floreale in cui il quarantaseienne progettista di Villa Igiea e Montecitorio, progetta e disegna tutto, dalle maioliche di rivestimento del vestibolo agli arredi Ducrot, dai ferri battuti del suggestivo balcone angolare e delle finestre alla scala interna in legno intarsiato, dall'impianto planimetrico della casa interconnessa al giardino perduto, al raffinato portale con la scritta che è un monito “dispar et unum”, residenza all'interno del vecchio tracciato dell'Expo del 1891 e in cui Salvatore Gregorietti decora le volte delle stanze più suggestive con raffinati motivi floreali.

Ennesima opera d'arte integrale questa!

In questa cornice che intende concorrere a definire questo edificio tra le pietre miliari della storia dell'arte italiana di respiro europeo dello scorso secoli, non possiamo che accogliere con estremo favore l'impegno promesso e profuso almeno a parole un mese fa circa da parte delle istituzioni regionali in direzione della completa e virtuosa valorizzazione della casa-studio Basile come casa-museo capace di raccogliere e mostrare tutta la grandezza del pensiero artistico e progettuale proprio nell’epicentro culturale da cui le sue creazioni prendevano forma, attraverso arredi originali, oggetti autentici, premi, targhe e il riversamento della preziosa mole di disegni e capolavori artistici facente parte della dotazione Basile proprietà degli eredi.

Se qualcuno avesse dubbi sulla riuscita di una operazione di tale portata, sulla capacità attrattiva di matrice turistica, sulla necessità di un virtuosismo sostenibile e sostenuto dai contenuti, basti ricordare che i numeri da capogiro dei visitatori delle stanze arredate dello studio di Sigmund Freud a Vienna in cui,in cui, fatta salva la dimensione suggestiva del luogo di culto laico, non è presente comunque nulla di artistico men che meno di tale livello come disegni e progetti quasi mai rimasti sulla carta.

Già, perché nel pellegrinaggio del turismo culturale esiste anche questa dimensione “umana” del fenomeno, non visitiamo un luogo solo per il contenuto, ma perché “ha” contenuto.

Una empatia creativa di natura silente in cui il visitatore si è già arricchito varcando la soglia, poi tutto resto diviene scoperta attiva e partecipe.

Apriamola allora questa casa-museo Liberty, non perdiamo altro tempo, sia per una volta la politica tutta all'altezza delle nostre aspirazioni e capace di custodire la nostra bellezza per le nuove generazioni costruendo valore, mostrandola con orgoglio ai curiosi, generando lavoro.
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