AMBIENTE
Per alcuni è la "Tour Eiffel" di Messina: se il Pilone dello Stretto fosse un monumento
I Piloni dello Stretto furono costruiti nel 1955 su progetto dell’ingegnere Riccardo Morandi, come tralicci (dipinti di rosso e bianco) d’elettrodotto ad alta tensione
Il Pilone di Torre Faro (versante messinese)
Oggi nessuna dei due colossi si vede più, e dei mostri se ne sente soltanto parlare, si dice siano semplicemente gorghi che si formano nel mare con le correnti. Anche i colossi in effetti sono stati sostituiti: dai due Piloni dello Stretto, a segno di come, purtroppo, la contemporaneità tolga la poesia che fino a secoli fa l’umanità metteva in ogni suo gesto.
Molti messinesi hanno una vera ossessione per il Pilone, comune luogo di balneazione, e si ostinano a definirlo – in maniera estremamente improvvida e provinciale – grande monumento: la Tour Eiffel di Messina.
E già questo non va bene, perché la necessità di richiamarsi a un altro monumento d’altro luogo per esprimere un proprio, esprime un senso di vacuità o di pochezza che si percepisce; è vero che Messina ha perso moltissimo tra cataclismi e guerre, ma mancu ȃ ‘sta manera!
I Piloni dello Stretto furono costruiti nel 1955 su progetto dell’ingegnere Riccardo Morandi, come tralicci (dipinti di rosso e bianco) d’elettrodotto ad alta tensione; in quel tempo, c’è da dirlo, fu l’elettrodotto più lungo del mondo, un’opera molto ambiziosa e ben realizzata, ma unicamente utilitaria.
Quello peloritano, il Pilone del Peloro, posto praticamente al livello del mare, è alto con tutto il basamento 234 m, ma quello calabrese, il Pilone del Peloro, identico ma posto sul promontorio, raggiunge i 394 m (superando il pinnacolo Torre Eiffel).
Introdotto che fu nel 1985 un cavo sottomarino per il trasporto dell’elettricità, l’elettrodotto aereo fu definitivamente dismesso nel 1992 e i Piloni rimasero puramente "ornamentali".
Tutto quanto esposto non comporta che il Pilone – o i Piloni – non possa mai diventare un monumento per davvero: al contrario, sia l’uno che ambedue si prestano a molteplici significati che possono essere financo spirituali, e proprio questi vanno sfruttati per monumentalizzarli.
Ma io, da peloritano, posso parlare soltanto per il mio lato.
Già si parla da tempo di ristoranti da collocare all’interno del Pilone peloritano, di ascensori panoramici (come una certa Torre predetta), ma ciò non aggiungerebbe alcuna monumentalità alla struttura: davvero è tutto qui?
Si deve pensare prima di tutto a soluzioni estetiche, che possono spaziare dal più semplice cambio di colore – un bel verde acqueo o smeraldino che si sposi al mare, per esempio – alla più complessa aggiunta di sculture a tema marino (visto il luogo), che possono essere sirene, tritoni e deità delle acque, nonché la sostituzione della sommità con un più gradevole pinnacolo o guglia.
Che il paesaggio visto dal punto più alto sia d’impareggiabile bellezza è indubbio, d’accordo, ma non sarebbe ancor meglio accompagnare tale fruibilità da una più preziosa resa estetica di ciò che davvero potrebbe essere un grande e fastoso monumento? Ma qual è l’importanza non del considerare, ma del rendere, monumentali queste due strutture?
Per spiegarlo bisogna partire dal termine che usiamo per indicarli: “pilone”.
Il pilone nell’architettura egizia è l’imponente e alta struttura doppia, che forse intende riprodurre due colline accostate (nel mezzo delle quali sorge il Sole, come nel glifo “Ꜣḫt”, l’orizzonte), e funge da portale del tempio, sia dall’esterno, che all’interno, tra i varii cortili verso ambienti sempre più sacri.
Col passare del tempo piloni sono stati chiamate varie strutture di diversa natura, compresi i grandi tralicci, come quelli dello Stretto, eppure la loro posizione e gemellarità riconducono inevitabilmente a un significato sacro.
Se il pilone egizio è un portale a doppio corpo, e i nostri, posti ai fianchi dello Stretto, sono singoli ma in due compongono un unico portale, ciò ci rimanda alla funzione dello Stretto di portale, apparentemente tra Sud e Nord ma invero tra Oriente e Occidente.
Difatti, Messina è sempre stata conscia d’essere al centro del mondo conosciuto, nel periodo in cui era potente. Ed ecco anche perché in queste acque dimorano Scilla e Cariddi, come a farvi la guardia, perché è un punto di passaggio e soltanto chi è in grado può passare.
L’attraversamento dello Stretto, proprio come quello che fece Ulisse nel mito (non a caso, se vogliamo leggerla in chiave spirituale) sottoponendosi al pericolo d’essere annientato dai mostri guardiani, può essere quindi inteso come il passaggio rituale da una realtà a un’altra.
Gli antichi lo sapevano ed eressero, seppur in tempi diversi e in modi diversi, due Colossi; oggi, inconsapevolmente e per motivi d’utilità, abbiamo i due Piloni che nel loro nome eppure ci riconducono a una funzione sacra.
Ecco perché non si può credere che l’unica soluzione sia direttamente “monetizzare” il Pilone, va fatto molto di più, per monetizzarlo tutt’al più maggiormente.
Monumentalizzati, i Piloni dello Stretto diventerebbero simbolo di una contemporaneità che, dopo aver quasi abbandonato l’arte in favore dell’utilità, spinta dal desiderio di bellezza, si riappropria dell’utilità e la trasforma nuovamente in arte.
Ovviamente, qualora si decidesse di sostituire i grandi tralicci di nuovo con enormi Colossi dei due dèi, la mia scelta sarebbe questa: ubi maior, minor cessat.
Si è parlato infatti anche d’erigere due versioni gigantesche dei Bronzi di Riace, ma fare semplicemente delle copie, considerato che come li abbiamo sono anche mutili di parte, sarebbe poco originale: possono essere tutt’al più dei modelli per l’aspetto anatomico, vista la loro sublimità da quel punto di vista.
Considerato che i Colossi li abbiamo già avuti, e sappiamo com’erano fatti, dovremmo tenere in considerazione quegli antichi monumenti per qualunque cosa si voglia fare di nuovo oggi.
In ogni caso, l’arte sta tornando. L’importante, è che non si rimanga alle congetture, ma si realizzi ciò che è meglio.
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