CULTURA
Palermo prima della guerra: in via Belmonte il capolavoro perduto della Belle Epoque
Palazzo Moncada dei Principi di Paternò è stato progettato da Ernesto Basile: uno di quei capolavori floreali dai fortissimi richiami gotico-catalani di immensa statura
Palazzo Moncada di Paternò (con la torretta) era nll'attuale via Crispi (allora via Borgo), all'angolo con via Principe di Belmonte
La Palermo della Belle époque purtroppo, lo sa benissimo perché ancor prima che le mani sulla città avessero il volto oscuro dei protagonisti del sacco edilizio, furono i bombardamenti dell'ultima guerra mondiale e cancellarne parti importanti di memoria storicizzata corrodendone per sempre proprio la bellezza.
Nel capoluogo siciliano la guerra finì prima, ma insieme a Genova, Napoli, Tornino e Milano, Palermo fu tra le città italiane maggiormente colpite dai bombardieri alleati, le Flying fortress.
Naturalmente il fronte portuale fu tra i luoghi sensibili protagonisti della devastazione giunta dal cielo e la via Crispi, all'arrivo delle truppe di Patton era una groviera di rovine e macerie a pochi passi dai relitti navali volati letteralmente per aria. L'intero fronte urbano, qui un tempo caratterizzato dalla prossimità col mare anticipato dai binari tranviari, accoglieva come fosse un biglietto da visita, l'approdo alla città tutto portò ma non solo.
Lo progetta realizzandolo Ernesto Basile tra il 1899 e il 1907 e rappresenta uno di quei capolavori floreali dai fortissimi richiami gotico-catalani che se fosse sopravvissuto ai capricci della storia dell'uomo, oggi ne racconterebbe anziché le violenze, la grandezza che governa i processi creativi.
Dalle diverse immagini fotografiche a noi giunte, è possibile ammirarne la statura di questo edificio articolato su due livelli attorno alla torre angolare a base quadrata sfondante il tetto a padiglione, il cui prospetto frontale animato fronte mare da un lunghissimo balcone sorretto da mensole e cinto dalla "solita" ringhiera d’intarsio floreale in ferro battuto, ricorda e non poco l'esperienza coeva della villa Lanza-Deliella con cui condivide il simile destino obliato.
Ma se il prospetto frontale rappresenta un vero e proprio trattato di composizione euritmica in piena aderenza alla ricerca progettuale dell'architetto palermitano, il lungo prospetto laterale scampato ancora alle bombe del febbraio o marzo 1943 ma non agli appetiti edilizi della ricostruzione, si configura come il vero protagonista della scena urbana attraverso l'ulteriore presenza del piccolo elemento turrito preso direttamente in prestito (o viceversa) dal villino Florio e da cui si dipartiva la lieve rotazione della restante porzione di edificio a definizione del lotto stesso.
Vi insistono in questa opera perduta, quasi tutte le mature conquiste formali del maestro siciliano, in quel delicato passaggio tra la misura eclettica della seconda metà dell’Ottocento e l'esplosione del gusto floreale europeo.
Opera d'arte integrale, costruzione monumentale dalla preminente presenza urbana, quasi un Palazzo fiorentino rinascimentale, testimone della tragicità della guerra, sopravvissuto attraverso il medium fotografico all'oblio della mancanza di memoria, merita sicuramente ai giorni nostri una attenzione testimoniale diretta ed evidente, magari attraverso un breve gesto progettuale.
Potrebbe essere una targa fotografica in plexiglas, degnamente illuminata e munita di periferiche tecnologiche capaci di dialogare con turisti e curiosi magari attraverso gli smartphone a rendere omaggio ed il giusto tributo ad uno di quei monumentali edifici costruiti per rappresentare in tutto il suo splendore, quella bellezza sociale dell'arte che trovò nelle architetture basiliane la volontà positiva di rappresentare il codice visibile della città felice dei Florio e dei Withaker.
Perché no? Niente video mapping, niente malinconia da socialweb, ma un oggetto di design immaginato per riportare la tensione del ricordo sul piano materiale del reale e progettato con puntuale precisione attraverso gli strumenti del progetto così come lo stesso Basile avrebbe fatto oggi, esattamente a metà tra tradizione e innovazione.
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