RICETTE
Non è salato ma un dolce (dimenticato): la torta siciliana che consolò la regina
Sua Maestà pregava con le monache, si dedicava talvolta con loro ai lavori di ricamo, ma più spesso metteva mano come le religiose alla preparazione di dolci
Gateau di ricotta
Maria Carolina non amava essere contrariata e non era particolarmente incline al buonumore, il popolo la chiamava "la regina che non sorride mai".
Un giorno, durante un banchetto in occasione della Pasqua, il re le propose di assaggiare un dolce: la celebre pastiera napoletana. Fu un assaggio celestiale e la sovrana si sciolse in un sorriso di bceatitudine, tanto che il pittoresco Ferdinando esclamò: "Ci voleva la pastiera per far sorridere mia moglie, adesso mi toccherà aspettare un altro anno!".
Anche in Sicilia, fu sempre un dolce, il gatò di ricotta, a infondere buonumore e dare conforto alla regina, durante il suo esilio in provincia di Trapani: così mi hanno raccontato alcune anziane nonnine di Castelvetrano (Tp).
Maria Carolina, dal momento in cui aveva dato alla luce il primo figlio maschio, l’erede al trono, così come previsto dai capitoli nuziali, si era occupata degli affari di stato, sostituendosi al marito, debole e indolente.
Durante il secondo esilio in Sicilia, per liberarsi dal giogo inglese, ella aveva tramato con i Francesi e per questo motivo Lord Bentik volle il suo allontanamento, costringendo sua Maestà a ritirarsi a Castelvetrano, dove sarebbe rimasta ben per 84 giorni.
Al suo arrivo nella cittadina Maria Carolina fu accolta con tutti gli onori dalle autorità, dai notabili, dal popolo e dai 12 suonatori della banda: le strade erano state illuminate con fanali, erano stati innalzati toselli e ci furono i fuochi d’artificio
La sovrana e il suo seguito occuparono il piano nobile del Palazzo Ducale, che aveva due anticamere (nella prima anticamera dormiva l’ufficiale di guardia), camera d’udienza, segreteria, camera reale con alcova, camerino da toeletta, gran salone. A Castelvetrano pochi furono i divertimenti: una gita a Selinunte e una alle cave di Cusa. Ufficialmente Maria Carolina trascorse quei giorni “da perfetta cristiana”, partecipando alle funzioni religiose.
Si recava quasi ogni giorno in chiesa, per ascoltar messa. Il giovedì Santo non solo visitò i sepolcri e fu presente la sera alla processione del crocifisso; ma si occupò lei stessa, con grande umiltà, di lavare i piedi di 12 fanciulle di bianco vestite, sorteggiate tra le più povere del paese. Seguì poi una sontuosa cena, offerta ovviamente dalla sovrana, che regalò a ciascuna ragazza oltre all’abito bianco, la posata con cui si era servita a tavola, il tovagliolo adoperato e 10 onze in denaro.
La domenica di Pasqua Carolina assisteva alla rappresentazione dell’Aurora, (l’incontro tra la statua del Cristo risorto e il simulacro della Madonna). Tutte le sere alle 2 ore di notte (le 22 circa) attendeva il figlio Leopoldo, di 23 anni, (che frequentava la casa di Francesco Consiglio e rientrava preceduto da fiaccole e lanterne) per la recita del rosario.
Erano frequenti le visite della Regina al monastero dell’Annunziata, dove entrava di suo pieno diritto (i sovrani potevano accedere alla clausura N.d.R.) e dove era solita intrattenersi con le suore, dopo esser stata accolta sempre con grandi sorrisi e deferenza dalla badessa suor Maria Emanuela Modica.
Sua Maestà pregava insieme alle monache, si dedicava talvolta con loro ai lavori di ricamo, ma più spesso metteva mano come le religiose alla preparazione di torte e pasticcini: paste di mandorle, biscotti e gatò di ricotta.
Le monache, in cambio di tanta "sovrana degnazione", oltre ai dolci, fornivano giornalmente alla tavola reale, un finissimo pane di maiorca. Maria Carolina si mostrò caritatevole e generosa con tutti: ma veramente trascorse tutto il suo tempo, con pia rassegnazione, assorta esclusivamente in pratiche di pietà?
In realtà la mente brillante di questa donna vulcanica cercava di tramare un'insurrezione. La regina tentava di sollevare le sue truppe a Trapani e a Corleone contro gli inglesi. Sua Maestà aveva spie e messi segreti. Si dice anche che di notte, di tanto in tanto, col favore delle tenebre, il re l’andasse a trovare.
Quando Lord Bentinck, avvertito dalle sue spie, ne ebbe abbastanza di tutto ciò, incalzò in tutti i modi la regina perché lasciasse la Sicilia. Dopo aver cercato invano di temporeggiare, sua maestà finiva per cedere. Inviò a Bentik una lettera piena di orgoglio e ardore, affermando di arrendersi solo per amore della sua famiglia e del marito.
Aveva già scritto qualche mese prima al genero, chiedendo di poter fare ritorno a Vienna. Il principe di Metternich, ministro degli esteri si era opposto: Maria Carolina era un’intrigante e avrebbe di certo causato guai. L’imperatore, pur essendo del medesimo parere, non se la sentì di rifiutare. La regina e il figlio Leopoldo partirono il 14 giugno da Mazara del Vallo per l’oriente, scortati da due vascelli (per ordine dello stesso Bentick) contro gli attacchi dei pirati algerini che infestavano il Mediterraneo.
Maria Carolina si sarebbe spenta a causa di un ictus solo pochi mesi dopo, l’8 settembre 1814, nel castello di Hetzendorf: sarebbe morta senza vedere la restaurazione del marito sul trono di Napoli dopo il Congresso di Vienna. La sua scomparsa fu un vero e proprio sollievo per Metternick. A Palermo invece i teatri rimasero chiusi per un mese, si celebrarono messe di requiem in ogni chiesa e la città fu a lutto per sei mesi.
Per ricordare la regina Carolina e il suo esilio siciliano vogliamo riproporre la ricetta del gatò di ricotta. Abbiamo ritrovato l’antica ricetta nel volume "Siciliani a tavola", di Alberto Denti di Piraino: "La preparazione è di chiara origine medioevale" scrive Denti di Piraino.
"Gatò naturalmente è la traduzione sicula del francese gateau. La ricetta, pur ricordando la torta di formaggio americana (ma senza crosta) può tentare il cuoco desideroso di ricostruire un piatto pochissimo noto: e dimostra, se ce ne fosse bisogno, la grande varietà di sapori e di combinazioni di cui può vantarsi la cucina siciliana, così da meritare di esser considerata una delle prime del mondo".
Ricetta
"Per once sei di ricotta (160 g di ricotta) passata tre volte al setaccio metti once due (55 g di zucchero) e uova quattro. Prendi i soli bianchi d’uova e li batterai assai finchè montino, indi unisci i rossi con cacio fresco grattato e batterai di nuovo.
Aggiungi cannella, uvetta e cucuzzata (zucca candita, tagliata a dadini). Così disposto ungerai la casseruola nel fondo e nei lati, là dove il gatò deve prendere con sufficiente sugna, che spruzzerai attentamente con mollica di pane grattugiata ed allora metterai tutto nella cassseruola, spruzzando parimenti la parte superiore della detta mollica. Fai cuocere con fuoco lento, lentissimo".
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